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Diritti umani

Equo processo e protezione proprietà

Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 16 luglio 2013 - Ricorso n. 29385/03 - Gagliardi c.Italia

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

SECONDA SEZIONE

SENTENZA

STRASBURGO

Ricorso n. 29385/03

GAGLIARDI

contro Italia

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Gagliardi c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell'uomo (seconda sezione), riunita in un comitato composto da:

Dragoljub Popović, presidente,

Paulo Pinto de Albuquerque,

Helen Keller, giudici,

e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione f.f.,

Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 25 giugno 2013,

Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All'origine della causa vi è un ricorso (n. 29385/03) proposto contro la Repubblica italiana con il quale un cittadino di tale Stato, il sig. Mario Gagliardi ("il ricorrente"), ha adito la Corte il 29 agosto 2003 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione").

2. Il ricorrente è stato rappresentato dall'avv. G. Romano, del foro di Benevento. Il governo italiano ("il Governo") è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo ex co-agente, N. Lettieri.

3. Il 9 novembre 2009 il ricorso è stato comunicato al Governo. In applicazione del Protocollo n. 14, il ricorso è stato assegnato ad un comitato.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. Il ricorrente, sig. Mario Gagliardi, è un cittadino italiano, nato nel 1940 e residente a Benevento.

5. In data imprecisata, il ricorrente ricevette la conferma della sua assunzione presso il Consorzio antitubercolare di Benevento.

6. A partire dal 22 febbraio 1990, egli cominciò ad esercitare le funzioni di centralinista non vedente.

7. In data imprecisata, le funzioni svolte dal Consorzio furono trasferite ai servizi sanitari locali (Unità Sanitarie Locali, "l'USL") n. 5 di Benevento.

8. Dopo 28 giorni, a causa del rifiuto dell'USL, il ricorrente non ottenne il contratto di assunzione definitiva.

9. Il 1° gennaio 1995, l'USL fu messa in liquidazione, fu nominato un commissario per la liquidazione dei suoi crediti e debiti e l'ASL («Azienda Sanitaria Locale») le succedette nella gestione di tutte le cause di natura amministrativa.

A. Il procedimento principale

10. Dopo avere costituito in mora l'USL, il 20 giugno 1990, il ricorrente chiese al tribunale amministrativo regionale ("il TAR") della Campania di ordinare il suo reintegro nel posto di lavoro.

11. Con sentenza dell'8 novembre 1995, depositata in cancelleria il 18 gennaio 1996, il TAR accolse il ricorso del ricorrente.

12. L'8 marzo 2002 il Consiglio di Stato confermò la sentenza del TAR rigettando l'appello dell'USL di Benevento. La decisione fu depositata in cancelleria il 30 settembre 2002 e trasmessa all'ASL di Benevento, che agiva in qualità di Commissario liquidatore dell'USL, il 4 ottobre 2002.

13. Vista la persistente inazione dei servizi sanitari locali, il 30 gennaio 2003 il ricorrente costituì in mora l'ASL n. 1 di Benevento, poi, il 18 marzo 2003, propose ricorso di esecuzione dinanzi al TAR ("giudizio di ottemperanza").

14. Con sentenza del 14 maggio 2003, depositata in cancelleria il 16 luglio 2003, osservando che l'amministrazione non aveva adottato alcuna misura al fine di ottemperare alla sentenza dell'8 novembre 1995, il TAR ordinò all'ASL di eseguire la detta sentenza entro sessanta giorni a decorrere dal 16 luglio 2003. In caso contrario, sarebbe stato nominato un Commissario ad acta per assicurarne l'esecuzione.

15. Visto il rifiuto dell'ASL di conformarsi alla sentenza del TAR, fu nominato un Commissario ad acta. Questi ordinò all'ASL il reintegro del ricorrente e il pagamento degli stipendi arretrati.

16. In data imprecisata, tenuto conto del persistente rifiuto dell'ASL di ottemperare alle indicazioni del Commissario, il ricorrente sporse querela contro i responsabili dell'inadempimento.

17. L'ASL decise di reintegrare il ricorrente il 23 dicembre 2003 con effetto al 1° gennaio 2004 senza, tuttavia, versargli gli arretrati.

18. Il ricorrente proseguì la procedura di conciliazione obbligatoria davanti al giudice del lavoro. Tuttavia, tale procedura non diede alcun risultato per l'assenza del rappresentante dell'ASL.

19. Tenuto conto dell'inerzia dell'ASL, il commissario responsabile per la liquidazione dei crediti e dei debiti dell'USL pagò gli stipendi arretrati maggiorati della rivalutazione monetaria e degli interessi legali.

B. La procedura "Pinto"

20. Il 18 aprile 2001, mentre era ancora pendente il procedimento principale, il ricorrente si rivolse alla Corte lamentando la violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

21. Il 13 marzo 2003, il ricorrente adì la corte d'appello di Roma conformemente alla legge Pinto al fine di lamentare la durata del procedimento.

22. Con decisione depositata in cancelleria il 29 luglio 2003, la corte d'appello constatò il superamento della durata ragionevole e accordò al ricorrente 4.900 EUR per danni morali e 650 EUR per spese da liquidare direttamente all'avvocato.

23. Non essendo stata notificata ai sensi dell'articolo 285 del codice di procedura civile, tale decisione divenne definitiva il 28 ottobre 2004.

24. Le somme accordate in esecuzione della decisione "Pinto" furono pagate il 19 luglio 2004. Il ricorrente ricevette 5.011,83 EUR.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

25. Il diritto e la prassi interni pertinenti relativi alla legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta "legge Pinto", figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23-31, CEDU 2006 V).

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE QUANTO ALLA DURATA DEL PROCEDIMENTO PRINCIPALE

26. Il ricorrente lamenta l'eccessiva durata del procedimento civile. Dopo avere tentato la procedura "Pinto", egli ritiene che l'importo accordato dalla corte d'appello a titolo di danno morale non sia sufficiente per riparare il danno causato dalla violazione dell'articolo 6 § 1 così redatto nelle parti pertinenti:

Articolo 6 § 1 della Convenzione

"Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (...) entro un termine ragionevole, da un tribunale (...), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)"

27. La Corte osserva che il ricorrente non ha proposto ricorso per cassazione al fine di contestare la decisione della corte d'appello "Pinto", che è divenuta definitiva il 28 ottobre 2004.

28. Il ricorrente sostiene che, a causa della riparazione insufficiente e del tempo trascorso per ottenerla, il ricorso Pinto non è effettivo e, di conseguenza, non costituisce, in linea di principio, un rimedio da esaurire.

29. La Corte rammenta che né l'insufficienza dell'importo accordato (Delle Cave e Corrado c. Italia, n. 14626/03, §§ 43-46, 15 maggio 2007 e Simaldone c. Italia, sopra citata, §§ 71-72) né il ritardo nel pagamento degli indennizzi "Pinto" (Simaldone c. Italia, n. 22644/03, § 84, 31 marzo 2009) mettono in discussione, al momento, l'effettività di questa via di ricorso.

30. Ne consegue che questo motivo di ricorso deve essere dichiarato irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell'articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione (si veda Di Sante c. Italia (dec.), n. 56079/00, 24 luglio 2004).

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 13 E 53 DELLA CONVENZIONE

31. Il ricorrente lamenta l'inefficacia del rimedio Pinto a causa dell'insufficiente riparazione accordata dalla corte d'appello Pinto e del ritardo nel pagamento della stessa. Egli invoca gli articoli 13 e 53 della Convenzione.

32. La Corte ritiene che questo motivo di ricorso debba essere considerato unicamente sotto il profilo dell'articolo 13 della Convenzione.

33. Alla luce delle conclusioni a cui è giunta la Corte nei precedenti paragrafi 29-30, è opportuno dichiarare irricevibile questo motivo di ricorso in quanto manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

III. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 6 § 1 DELLA CONVENZIONE E 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 QUANTO AL RITARDO DELLE AUTORITÀ NAZIONALI NEL CONFORMARSI ALLA DECISIONE DELLA CORTE D'APPELLO PINTO

34. Il ricorrente afferma che il ritardo delle autorità nazionali nel conformarsi alle decisioni "Pinto" ha comportato la violazione degli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1. L'articolo 6 della Convenzione è citato nel precedente paragrafo 26 e l'articolo 1 del Protocollo n. 1 è così redatto nelle parti pertinenti:

Articolo 1 del Protocollo n. 1

"Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale (...)."

A. Sulla ricevibilità

35. Il Governo ritiene, innanzitutto, che il ricorrente non sia più "vittima" della violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione in quanto il ritardo controverso è stato compensato dal riconoscimento di interessi moratori e, all'occorrenza, di spese sostenute nella procedura di esecuzione forzata.

36. A sostegno, il Governo avanza argomenti che la Corte ha già respinto, da ultimo, nella sentenza Belperio e Ciarmoli c. Italia (n. 7932/04, 21 dicembre 2010).

37. Non vedendo motivi per derogare a tale approccio, la Corte rigetta l'eccezione sollevata dal Governo e ritiene che il ricorrente possa ancora sostenere di essere "vittima", ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione.

38. Il Governo eccepisce poi il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in quanto il ricorrente non ha intentato una seconda procedura "Pinto" per lamentare il ritardo nel pagamento della somma Pinto.

39. La Corte ha già considerato in più occasioni (si veda, in particolare, Simaldone c. Italia, n. 22644/03, § 44, 31 marzo 2009) che esigere dal ricorrente un nuovo ricorso "Pinto" per lamentare la durata dell'esecuzione della decisione "Pinto" equivarrebbe a immetterlo in un circolo vizioso in cui il cattivo funzionamento di un rimedio lo costringerebbe ad avviarne un altro. Una tale conclusione sarebbe irragionevole e costituirebbe un ostacolo sproporzionato all'efficace esercizio da parte del ricorrente del suo diritto di ricorso individuale, quale definito all'articolo 34 della Convenzione (si veda la sentenza Pedicini e altri c. Italia [comitato], n. 48117/99, § 30, 25 settembre 2012). Pertanto, è opportuno rigettare l'eccezione sollevata dal Governo.

40. Nelle sue osservazioni depositate nella cancelleria della Corte il 4 marzo 2010, vale a dire circa tre mesi prima dell'entrata in vigore del Protocollo n. 14, il Governo solleva, infine, un'eccezione relativa all'assenza di danno rilevante per il ricorrente, perché questi ha ottenuto interessi moratori per il ritardo nel pagamento della somma Pinto e, comunque, avrebbe potuto adire il giudice nazionale per ottenere la compensazione dovuta per la durata eccessiva della procedura di esecuzione.

41. Il Governo fa riferimento al testo dell'articolo 35 § 3 b) della Convenzione, come modificato dal Protocollo n. 14, secondo il quale la Corte può dichiarare un ricorso irricevibile quando "il ricorrente non ha subito alcun pregiudizio importante, salvo che il rispetto dei diritti dell'uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli esiga un esame del ricorso nel merito e a condizione di non rigettare per questo motivo alcun caso che non sia stato debitamente esaminato da un tribunale interno".

42. La Corte osserva innanzitutto che il Protocollo n. 14 alla Convenzione è entrato in vigore il 1° giugno 2010.

43. È quindi opportuno chiedersi se siano soddisfatte le condizioni di applicazione enunciate nell'articolo 35 § 3 b) della Convenzione nella redazione derivata dal Protocollo n. 14.

44. Per quanto riguarda il concetto di "pregiudizio importante", la Corte tiene a sottolineare che il fatto che i giudici interni avrebbero riconosciuto, poi accordato una riparazione per violazione della Convenzione non comporta automaticamente che non vi sarebbe "pregiudizio" a carico del ricorrente, come sembra sostenere il Governo convenuto. Infatti, la valutazione riguardante l'assenza di un tale "pregiudizio" non si riduce a una stima puramente economica.

45. La Corte rammenta che, al fine di verificare se la violazione di un diritto raggiunge la soglia minima di gravità, vanno presi in considerazione in particolare i seguenti elementi: la natura del diritto di cui si deduce la violazione, la gravità dell'incidenza della violazione denunciata nell'esercizio di un diritto o le eventuali conseguenze della violazione sulla situazione personale del ricorrente. Nella valutazione di tali conseguenze, la Corte prenderà in esame, in particolare, la posta in gioco del procedimento nazionale o il suo esito (si veda, Giusti c. Italia, n. 13175/03, § 34, 18 ottobre 2011).

46. La Corte osserva che, nel caso di specie, il ricorrente lamentava il ritardo nel pagamento di una somma Pinto. Essa rileva poi che la somma Pinto è stata pagata un anno dopo il deposito in cancelleria della decisione della corte d'appello, il che supera di sei mesi il termine per l'esecuzione delle decisioni Pinto considerato accettabile dalla Corte (Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, § 89, CEDU 2006 V; Simaldone, sopra citata, § 48). Infine, il ritardo riguarda il pagamento di 4.900 EUR accordato dalla corte d'appello Pinto per la durata eccessiva di un procedimento (12 anni per due gradi) riguardante il reintegro del ricorrente nel posto di lavoro nonché il pagamento degli stipendi arretrati.

47. Tenuto conto della durata del ritardo nel pagamento, dell'importo della somma Pinto e del fatto che si tratta di una somma accordata al fine di riparare una violazione della Convenzione la cui gravità non è trascurabile, la Corte ritiene che sia opportuno rigettare l'eccezione del Governo.

48. La Corte rileva che questo motivo di ricorso e quello relativo all'articolo 1 del Protocollo n. 1 non incorrono in altri motivi d'irricevibilità e, di conseguenza, li dichiara ricevibili.

B. Sul merito

49. Il Governo rammenta che, tenuto conto dell'approccio seguito dalla Corte nelle cause Di Pede c. Italia e Zappia c. Italia (26 settembre 1996, Recueil des arrêts et décisions, 1996-IV), l'eventuale ritardo nel pagamento della somma accordata dovrebbe essere valutato nell'ambito della durata totale del procedimento giudiziario.

50. La Corte rammenta che nelle sentenze Simaldone c. Italia, sopra citata, e Gaglione ed altri c. Italia (n. 45867/07, 21 dicembre 2010), il ritardo nel pagamento delle somme Pinto costituisce una violazione autonoma dell'articolo 6 della Convenzione (diritto all'esecuzione delle decisioni interne esecutive). Essa non vede motivi per derogare a tale approccio.

51. La Corte constata che la somma accordata è stata versata oltre sei mesi dopo il deposito in cancelleria della decisione della corte d'appello Pinto. Alla luce dei criteri stabiliti nelle sentenze Simaldone e Gaglione e altri (sopra citate), la Corte ritiene che tale ritardo costituisca una violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

52. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che non sia necessario esaminare separatamente il motivo di ricorso formulato dal ricorrente sotto il profilo dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 (Follo e altri c. Italia, n. 28433/03, 28434/03, 28442/03, 28445/03 e 28451/03, § 30, 31 gennaio 2012).

IV. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 QUANTO AL RITARDO DELLE AUTORITÀ NEL CONFORMARSI ALLA SENTENZA DEL TAR

53. Il ricorrente lamenta il ritardo delle autorità nazionali nel conformarsi alla decisione del TAR dell'8 novembre 1995, confermata l'8 marzo 2002 dal Consiglio di Stato, che impone all'amministrazione, in particolare, il reintegro del ricorrente nel posto di lavoro. Egli invoca l'articolo 1 del Protocollo n. 1.

54. Padrona della qualificazione giuridica dei fatti della causa, la Corte ritiene che questo motivo di ricorso richieda un esame sotto il profilo dell'articolo 6 della Convenzione.

55. La Corte osserva che questo motivo di ricorso non incorre in altri motivi di irricevibilità e, di conseguenza, lo dichiara ricevibile.

56. Il Governo sostiene che il ricorso di esecuzione davanti al TAR («giudizio di ottemperanza») avviato dal ricorrente costituisce un rimedio effettivo in caso di rifiuto da parte dell'amministrazione di conformarsi ad una sentenza dei tribunali interni. Infatti, secondo il Governo, nel caso di specie, il ricorrente fu non solo reintegrato nel posto di lavoro, ma ottenne gli stipendi arretrati maggiorati degli interessi legali e della rivalutazione monetaria senza avere lavorato nel periodo in questione e acquisendo così il diritto ad andare in pensione poco tempo dopo il reintegro. Non vi sarebbe stato, nel caso di specie, né «rifiuto né mancanza grave di adempiere l'obbligo di eseguire una decisione giudiziaria [...] né lesione dei diritti patrimoniali del creditore».

57. La Corte ha affermato più volte che il diritto ad un tribunale sarebbe illusorio se l'ordinamento giuridico interno di uno Stato contraente permettesse che una decisione giudiziaria definitiva ed obbligatoria rimanga inoperante a scapito di una parte. L'esecuzione di una sentenza, di qualsiasi organo giudiziario, deve quindi essere considerata parte integrante del «processo» ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione (Immobiliare Saffi c. Italia [GC], n. 22774/93, § 63 in fine, CEDU 1999-V, Hornsby c. Grecia, 19 marzo 1997, § 40, Recueil des arrêts et décisions 1997 II).

58. Il principio riveste importanza ancora maggiore nel contesto del contenzioso amministrativo, in occasione di una controversia il cui esito è determinante per i diritti civili dell'amministrato. Ora la tutela effettiva della parte in giudizio e il ristabilimento della legalità implicano l'obbligo per l'amministrazione di piegarsi alla sentenza eventualmente emessa nei suoi confronti in ultimo grado. Se l'amministrazione rifiuta o omette di pagare, oppure tarda a farlo, le garanzie dell'articolo 6 di cui la parte in giudizio ha beneficiato durante la fase giudiziaria del procedimento perdono ogni ragion d'essere (Süzer e Eksen Holding A.Ş. c. Turchia, 23 ottobre 2012 n. 6334/05, § 115, Hornsby c. Grecia, 19 marzo 1997, sopra citata, § 41, Niţescu c. Romania, n. 26004/03, § 32, 24 marzo 2009, Iera Moni Profitou Iliou Thiras c. Grecia, n. 32259/02, § 34, 22 dicembre 2005).

59. Quale che sia la complessità delle sue procedure di esecuzione o del suo sistema amministrativo, lo Stato conserva l'obbligo, derivante dalla Convenzione, di garantire a chiunque il diritto che le sentenze obbligatorie ed esecutive emesse a suo favore siano eseguite entro un termine ragionevole (si veda, ad esempio, la causa Shmalko c. Ucraina, n. 60750/00, 20 luglio 2004, in cui la Corte ha ritenuto che un ritardo di un anno e due mesi costituisse un'ingerenza ingiustificata nei diritti tutelati dagli articoli 6 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1).

60. Una persona che abbia ottenuto una sentenza contro lo Stato non deve avviare un procedimento distinto per ottenerne l'esecuzione forzata: spetta essenzialmente alle autorità dello Stato garantire l'esecuzione di una decisione giudiziaria emessa contro quest'ultimo, e ciò dalla data in cui la decisione diviene obbligatoria ed esecutiva. Una tale sentenza deve essere notificata nella debita forma all'autorità interessata dello Stato convenuto, la quale è allora in grado di fare tutti i passi necessari per conformarvisi o per comunicarla ad un'altra autorità dello Stato competente per le questioni di esecuzione delle decisioni giudiziarie (Akachev c. Russia, n. 30616/05, 12 giugno 2008).

61. Nel caso di specie, la decisione del Consiglio di Stato è stata depositata in cancelleria il 30 settembre 2002 mentre il ricorrente è stato reintegrato dall'ASL solo il 1° gennaio 2004 (decisione dell'ASL del 23 dicembre 2003), dopo oltre un anno e tre mesi.

62. La Corte osserva anche che, ai fini dell'esecuzione della decisione del TAR, il ricorrente, benché non obbligato ad avviare alcuna azione, essendo l'ASL un servizio locale di gestione della salute pubblica affidato allo Stato, ha dovuto avviare nuovi procedimenti (in particolare, costituzione in mora del 30 gennaio 2003, ricorso di esecuzione al TAR del 18 marzo 2003, tentativo di conciliazione obbligatorio davanti al giudice del lavoro).

63. Inoltre, al fine di valutare se lo Stato abbia eseguito la sentenza entro un termine ragionevole, la Corte prende in considerazione nella sua giurisprudenza altri elementi relativi alla condizione personale del ricorrente, quali l'età, lo stato di salute, la natura di un eventuale handicap (Shmalko c. Ucraina, sopra citata, § 44). Nel caso di specie, dal fascicolo emerge che il ricorrente, non vedente, aveva 63 anni all'epoca dei fatti.

64. Infine, la Corte ritiene che il pagamento degli stipendi arretrati, maggiorati degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, possa essere considerato sufficiente a compensare i danni patrimoniali causati dalla mancata esecuzione della decisione del TAR, ma non sia secondo ogni evidenza atto a riparare lo sconforto e la frustrazione che il ricorrente deve avere subito a causa dei ritardi imputabili alle autorità. Inoltre, la Corte osserva che il fatto che il ricorrente abbia avuto diritto ad andare in pensione poco dopo il suo reintegro, è semplicemente la conseguenza dell'ostinato rifiuto opposto dall'amministrazione all'esecuzione della decisione del TAR.

65. La Corte osserva che la totale inerzia dell'USL (e dell'ASL a partire dal 1995) non era fondata su alcuna valida giustificazione. Alla luce di queste considerazioni, non è opportuno accertare se sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti individuali (si vedano Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 62, CEDU 1999–II; Karahalios c. Grecia, sopra citata, § 35).

66. Per tutti questi motivi, la Corte ritiene che vi sia stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

V. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

67. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione,

"Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa".

A. Danni

68. Il ricorrente chiede 37.000 euro (EUR) per il danno morale che avrebbe subito.

69. Il Governo contesta queste richieste.

70. La Corte ritiene che sia opportuno accordare al ricorrente la somma di 2.500 EUR.

B. Spese

71. Il ricorrente chiede anche 10.000 EUR per le spese sostenute dinanzi agli organi giurisdizionali interni e per quelle sostenute dinanzi alla Corte.

72. Il Governo si oppone a queste richieste.

73. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, e tenuto conto del fatto che il ricorrente non ha prodotto alcun documento a sostegno, la Corte rigetta la domanda.

C. Interessi moratori

74. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d'interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE ALL'UNANIMITÀ,

1.Dichiara il ricorso ricevibile quanto ai motivi relativi agli articoli 6 della Convenzione (ritardo nel pagamento della somma Pinto e nell'esecuzione della sentenza del TAR) e 1 del Protocollo n. 1 (ritardo nel pagamento della somma Pinto) e irricevibile per il resto;

2.Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 6 della Convenzione (ritardo nel pagamento della somma Pinto);

3.Dichiara che non è opportuno esaminare il motivo relativo all'articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione (ritardo nel pagamento della somma Pinto);

4.Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 6 della Convenzione (ritardo nell'esecuzione della decisione del TAR);

5.Dichiara

a.che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi, 2.500 EUR (duemilacinquecento euro), più l'importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dal ricorrente, per il danno morale;

b.che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;

6.Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 16 luglio 2013, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Françoise Elens-Passos

Cancelliere aggiunto

Dragoljub Popović

Presidente


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CEDU: Rispetto dei diritti dell'uomo e protezione proprietà

Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 25 giugno 2013 - Ricorso n. 126/12 - Battaglia c.Italia

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 126/12

Leandro BATTAGLIA

contro Italia

La Corte europea dei diritti dell'uomo (seconda sezione), riunita il 25 giugno 2013 in un comitato composto da:

Dragoljub Popović, presidente,

Paulo Pinto de Albuquerque,

Helen Keller, giudici,

e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione f. f.,

Visto il ricorso sopra menzionato, presentato il 9 dicembre 2011;

Vista la dichiarazione depositata dal governo convenuto l'11 settembre 2012 con cui si chiedeva alla Corte di cancellare il ricorso dal ruolo, nonché la risposta della parte ricorrente a tale dichiarazione;

Dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione:

FATTI E PROCEDURA

Il ricorrente, sig. Leandro Battaglia, è un cittadino italiano nato nel 1953 e residente a Reggio Calabria. È stato rappresentato dinanzi alla Corte dall'avv. D. Polimeni del foro di Reggio Calabria.

Il governo italiano ("il Governo") è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, P. Accardo.

Il ricorrente è stato parte a un procedimento civile di cui contestava l'eccessiva durata per mezzo del ricorso "Pinto".

Con decisione del 22 dicembre 2008 la corte d'appello "Pinto" di Catanzaro constatò la violazione del termine ragionevole ai sensi dell'articolo 6 § 1 della Convenzione e accordò al ricorrente le somme di 11.000 EUR per il danno morale e di 600 EUR per le spese.

La decisione non fu eseguita.

Dinanzi alla Corte, il ricorrente lamenta la mancata esecuzione della decisione "Pinto" e l'ineffettività del ricorso "Pinto".

Il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN DIRITTO

A. Sulla mancata esecuzione della decisione "Pinto"

Il ricorrente lamenta la mancata esecuzione della decisione della corte d'appello "Pinto". Invoca gli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1.

Dopo il fallimento dei tentativi di composizione amichevole, l'11 settembre 2012 il Governo ha trasmesso alla Corte una dichiarazione unilaterale in cui affermava:

"(...) il Governo italiano si offre di versare (...):

•la somma accordata dalla decisione "Pinto" in questione, rivalutata e maggiorata degli interessi legali alla data del pagamento, previa detrazione delle somme eventualmente già pagate in esecuzione di detta decisione,

•200 EUR (duecento euro), a copertura del danno morale derivante dal ritardo nel pagamento della somma Pinto, più l'importo eventualmente dovuto a titolo di imposta e

•200 EUR (duecento euro), a copertura di tutte le spese, più l'importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dalla ricorrente.

Tali somme saranno pagate entro i tre mesi successivi alla data della notifica della decisione della Corte resa conformemente all'articolo 37 § 1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. In caso di mancato pagamento entro tale termine, il Governo si impegna a versare, a decorrere dalla scadenza dello stesso e fino al versamento effettivo delle somme in questione, un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, aumentato di tre punti percentuali. Tale versamento avrà valore di definizione della causa.

Il Governo, riferendosi alla giurisprudenza della Corte in materia, ammette che la mancata esecuzione della decisione "Pinto" ha comportato la violazione degli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1 (Simaldone c. Italia, n. 22644/03, 31 marzo 2009) e ritiene che le somme sopra indicate costituiscano una riparazione adeguata della violazione stessa (Gaglione e altri c. Italia, nn. 45867/07 e altri, 21 dicembre 2010).

Il Governo chiede rispettosamente alla Corte di dichiarare che la prosecuzione dell'esame del ricorso non è più giustificata e di cancellare il ricorso dal ruolo conformemente all'articolo 37 della Convenzione."

Con lettera pervenuta alla Corte il 29 ottobre 2012 il ricorrente ha comunicato che non si riteneva soddisfatto dai termini della dichiarazione unilaterale.

La Corte rammenta che, in virtù dell'articolo 37 della Convenzione, in ogni momento della procedura può decidere di cancellare un ricorso dal ruolo quando le circostanze la portino a una delle conclusioni di cui ai commi a), b) o c) del paragrafo 1 di tale articolo. In particolare, l'articolo 37 § 1 c) le permette di cancellare un ricorso dal ruolo se:

"per ogni altro motivo di cui la Corte accerta l'esistenza, la prosecuzione dell'esame del ricorso non sia più giustificata."

La Corte rammenta anche che, in alcune circostanze, può essere opportuno cancellare un ricorso dal ruolo ai sensi dell'articolo 37 § 1 c) sulla base di una dichiarazione unilaterale del governo convenuto (articolo 62A del regolamento).

A tal fine, la Corte deve esaminare in dettaglio la dichiarazione alla luce dei principi sanciti dalla sua giurisprudenza (Tahsin Acar c. Turchia (questione preliminare) [GC], n. 26307/95, §§ 75-77, CEDU 2003 VI; WAZA Spółka z o.o. c. Polonia (dec.) n. 11602/02, 26 giugno 2007).

La Corte ha fissato in un certo numero di cause, tra cui quelle contro l'Italia, la sua prassi per quanto riguarda i motivi di ricorso relativi, dal punto di vista degli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1, alla mancata esecuzione delle decisioni giudiziarie (si vedano, ad esempio, Bourdov c. Russia, n. 59498/00, §§ 37-42, CEDU 2002 III; Metaxas c. Grecia, n. 8415/02, §§ 24-31, 27 maggio 2004) e, in particolare, delle decisioni "Pinto" (Simaldone c. Italia, n. 22644/03, §§ 48-64, 31 marzo 2009; Gaglione e altri c. Italia, nn. 45867/07 e altri, §§ 32-45, 21 dicembre 2010).

Considerata la natura delle concessioni contenute nella dichiarazione del Governo e visto l'importo del risarcimento proposto – conforme agli importi accordati in cause simili –, la Corte ritiene che la prosecuzione dell'esame di questa parte del ricorso non sia più giustificata (articolo 37 § 1 c)).

Inoltre, alla luce delle considerazioni sopra esposte e vista, in particolare, la sua copiosa e chiara giurisprudenza in materia, la Corte ritiene che il rispetto dei diritti dell'uomo sanciti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli non esiga che essa prosegua l'esame di questa parte del ricorso (articolo 37 § 1 in fine).

Infine, la Corte sottolinea che, qualora il Governo non rispettasse i termini della sua dichiarazione unilaterale, questa parte del ricorso potrebbe essere nuovamente iscritta al ruolo in virtù dell'articolo 37 § 2 della Convenzione (Josipović c. Serbia (dec.), n. 18369/07, 4 marzo 2008).

B. Sulla ineffettività del rimedio "Pinto"

Il ricorrente afferma che la mancata esecuzione della decisione della corte d'appello «Pinto» comporta l'ineffettività della via di ricorso interna, e invoca l'articolo 13 della Convenzione.

Considerata la giurisprudenza Simaldone c. Italia, n. 22644/03, §§ 76-84, 31 marzo 2009 e Gaglione, sopra citata, § 47, la Corte ritiene che la mancata esecuzione della decisione "Pinto" non rimetta in discussione l'effettività del rimedio "Pinto" ai sensi dell'articolo 13 della Convenzione.

Ne consegue che questa parte del ricorso è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi la Corte, all'unanimità,

Prende atto dei termini della dichiarazione del governo convenuto riguardo alla mancata esecuzione della decisione "Pinto" (articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1) e delle modalità previste per garantire il rispetto degli impegni in tal modo assunti;

Decide di cancellare questa parte del ricorso dal ruolo in applicazione dell'articolo 37 § 1 c) della Convenzione;

Dichiara il resto del ricorso irricevibile.

Françoise Elens-Passos

Cancelliere aggiunto

Dragoljub Popović

Presidente


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CEDU: Italia condannata per sovraffollamento carceri

L'Italia viola i diritti dei detenuti tenendoli in celle dove hanno a disposizione meno di 3 metri quadrati. La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha quindi condannato l'Italia per trattamento inumano e degradante di 7 carcerati detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza. I detenuti erano rinchiusi in gruppi di 3 in celle di 9 metri quadrati, ovvero scontavano la loro condanna in uno spazio inferiore ai 3 metri quadrati, senza acqua calda e in alcuni casi privi di illuminazione insufficiente, ha denunciato la Corte, invitando l'Italia a porre rimedio alla questione entro un anno e condannando il Paese a pagare ai sette detenuti un ammontare totale di 100 mila euro per danni morali. Nella sentenza la Corte invita l'Italia a porre rimedio immediatamente al sovraffollamento carcerario.

Di seguito la sentenza emessa dai giudici di Strasburgo:

Corte Europea dei Diritti dell'Uomo

Sezione II

Sentenza 8 gennaio 2013

AFFAIRE TORREGGIANI ET AUTRES c. ITALIE

(Requêtes nos 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 et 37818/10)

ARRÊT

STRASBOURG

8 janvier 2013

Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l'article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l'affaire Torreggiani et autres c. Italie, La Cour européenne des droits de l'homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de:

Danute Jociene, présidente,

Guido Raimondi,

Peer Lorenzen,

Dragoljub Popovic,

Isil Karakas,

Paulo Pinto de Albuquerque,

Helen Keller, juges,

et de Stanley Naismith, greffier de section, Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 4 décembre 2012,

Rend l'arrêt que voici, adopté à cette date :

PROCÉDURE

1. A l'origine de l'affaire se trouvent sept requêtes (nos 57875/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 et 37818/10) dirigées contre la République italienne et dont sept personnes (les requérants) (dont les données figurent sur la liste annexée au présent arrêt), ont saisi la Cour en vertu de l'article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l'homme et des libertés fondamentales (la Convention).

2. Les requérants ont été représentés par les avocats indiqués dans la liste en annexe. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agente, Mme Spatafora, et par sa coagente, Mme P. Accardo.

3. Les requérants se plaignaient en particulier des conditions dans lesquelles ils avaient été détenus respectivement dans les établissements pénitentiaires de Busto Arsizio et de Piacenza.

4. Le 2 novembre 2010 et le 5 janvier 2011, les requêtes ont été communiquées au Gouvernement. Comme le permet l'article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et sur le fond de l'affaire.

5. Le 5 juin 2012, la chambre a informé les parties qu'elle estimait opportun d'appliquer la procédure de l'arrêt pilote, en application de l'article 46 § 1 de la Convention.

6. Tant le Gouvernement que les requérants ont déposé des observations écrites sur l'opportunité d'appliquer la procédure en question.

EN FAIT

I. LES CIRCONSTANCES DE L'ESPÈCE

7. Lors de l'introduction de leurs requêtes, les requérants purgeaient des peines de réclusion dans les établissements pénitentiaires de Busto Arsizio ou de Piacenza.

A. Les conditions de détention dénoncées par les requérants

1. Les requérants détenus à la prison de Busto Arsizio (requêtes nos 43517/09, 46882/09 et 55400/09)

8. M. Torreggiani (requête no 43517/09) fut détenu à la prison de Busto Arsizio du 13 novembre 2006 au 7 mars 2011, M. Bamba (requête no 46882/09) du 20 mars 2008 au 23 juin 2011 et M. Biondi (requête no 55400/09) du 29 juin 2009 au 21 juin 2011. Chacun d'entre eux occupait une cellule de 9 m² avec deux autres personnes, et disposait donc d'un espace personnel de 3 m². Dans leurs requêtes, les requérants soutenaient en outre que l'accès à la douche à la prison de Busto Arsizio était limité en raison de la pénurie d'eau chaude dans l'établissement.

2. Les requérants détenus à la prison de Piacenza (requêtes nos 57875/09, 35315/10, 37818/10 et 61535/09)

9. M. Sela (requête no 57875/09) fut détenu à Piacenza du 14 février 2009 au 19 avril 2010, M. El Haili (requête no 35315/10) du 15 février 2008 au 8 juillet 2010 et M. Hajjoubi (requête no 37818/10) du 19 octobre 2009 au 30 mars 2011. M. Ghisoni (requête no 61535/09), incarcéré le 13 septembre 2007, est toujours détenu dans cet établissement.

10. Les quatre requérants affirment avoir occupé des cellules de 9 m² avec deux autres détenus. Ils dénoncent également un manque d'eau chaude dans l'établissement, qui les aurait empêchés pendant plusieurs mois de faire usage régulièrement de la douche, et un éclairage insuffisant des cellules en raison des barreaux métalliques apposés aux fenêtres.

11. Selon le Gouvernement, les cellules occupées à Piacenza par les requérants ont une superficie de 11 m².

B. Les ordonnances du tribunal d'application des peines de Reggio Emilia

12. Le 10 avril 2010, M. Ghisoni (no 61535/09) et deux autres détenus à la prison de Piacenza saisirent le juge d'application des peines de Reggio Emilia, soutenant que leurs conditions de détention étaient médiocres en raison du surpeuplement dans la prison de Piacenza et dénonçant une violation du principe de l'égalité de traitement entre les détenus, garanti par l'article 3 de la loi no 354 de 1975 sur l'administration pénitentiaire.

13. Par des ordonnances des 16, 20 et 24 août 2010, le magistrat accueillit les réclamations du requérant et de ses codétenus. Il observa que les intéressés occupaient des cellules qui avaient été conçues pour un seul détenu et qui, en raison de la situation de surpeuplement dans la prison de Piacenza, accueillaient alors chacune trois personnes. Le magistrat constata que la quasi-totalité des cellules de l'établissement avaient une superficie de 9 m² et qu'au cours de l'année 2010, l'établissement avait hébergé entre 411 et 415 personnes, alors qu'il était prévu pour accueillir 178 détenus, pour une capacité maximale tolérable (capienza tollerabile) de 376 personnes.

14. Faisant référence à l'arrêt Sulejmanovic c. Italie (no 22635/03, 16 juillet 2009) et aux principes de jurisprudence concernant la compatibilité entre les conditions de détention et le respect des droits garantis par l'article 3 de la Convention, le juge d'application des peines conclut que les réclamants étaient exposés à des traitements inhumains du fait qu'ils devaient partager avec deux autres détenus des cellules exigües, et faisaient l'objet d'une discrimination par rapport aux détenus partageant le même type de cellule avec une seule personne.

15. Le magistrat transmit ainsi les réclamations du requérant et des autres détenus à la direction de la prison de Piacenza, au ministère de la Justice et à l'administration pénitentiaire compétente, afin que chacun puisse adopter d'urgence les mesures adéquates dans le cadre de ses compétences.

16. En février 2011, M. Ghisoni fut transféré dans une cellule conçue pour deux personnes.

II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS

A. La loi sur l'administration pénitentiaire

17. L'article 6 de la loi no 354 du 26 juillet 1975 (la loi sur l'administration pénitentiaire), se lit comme suit :

Les locaux dans lesquels se déroule la vie des détenus doivent être suffisamment spacieux et éclairés par la lumière naturelle ou artificielle de manière à permettre le travail et la lecture ; [ils doivent être] aérés, chauffés lorsque les conditions climatiques l'exigent et équipés de services sanitaires privés, décents et de type rationnel. [Ils] doivent être entretenus et nettoyés correctement. Les locaux où les prisonniers passent la nuit sont des cellules individuelles ou collectives.

Un soin particulier doit présider au choix des personnes qui sont placées dans des cellules collectives.

Les personnes en détention provisoire doivent pouvoir bénéficier d'un séjour en cellule individuelle à moins que la situation particulière de l'établissement ne le permette pas.

Chaque détenu (...) dispose du linge de lit nécessaire.

18. Aux termes de l'article 35 de la loi no 354 de 1975, les détenus peuvent adresser des demandes ou des réclamations orales ou écrites, même sous pli scellé, au juge de l'application des peines ; au directeur de l'établissement pénitentiaire, ainsi qu'aux inspecteurs, au directeur général des instituts de détention et de prévention et au ministre de la Justice ; aux autorités judiciaires et sanitaires qui visitent l'institut ; au président du Conseil régional et au chef de l'État.

19. Selon l'article 69 de cette même loi, le juge d'application des peines est compétent pour contrôler l'organisation des instituts de prévention et de détention et pour communiquer au ministre (de la Justice) les besoins des différents services, notamment en ce qui concerne la mise en place du programme de rééducation des personnes détenues (alinéa 1). Il veille également à ce que la surveillance des prévenus soit exercée en conformité avec les lois et les règlements (alinéa 2). Par ailleurs, il a le pouvoir de prescrire des dispositions visant à éliminer d'éventuelles violations des droits des personnes condamnées et internées (alinéa 5). Le juge statue sur la réclamation par une ordonnance, contre laquelle l'intéressé peut se pourvoir en cassation.

B. Jurisprudence interne relative à la possibilité pour les détenus de solliciter l'octroi d'une réparation en cas de mauvaises conditions de détention

20. Par l'ordonnance no 17 du 9 juin 2011, le juge d'application des peines de Lecce accueillit la réclamation d'A.S., un détenu se plaignant de ses conditions de détention, inhumaines, en raison du surpeuplement régnant à la prison de Lecce. L'intéressé avait également demandé une indemnisation pour le préjudice moral subi.

Le juge constata que le requérant avait partagé avec deux autres personnes une cellule mal chauffée et dépourvue d'eau chaude, qui mesurait 11,5 m² toilettes comprises. En outre, le lit occupé par A.S. était à seulement 50 centimètres du plafond. Le requérant était obligé de passer 19 heures et demie par jour sur son lit en raison de l'absence d'activités sociales organisées à l'extérieur de la cellule.

Par son ordonnance, le juge d'application des peines estima que les conditions de détention de l'intéressé étaient contraires à la dignité humaine et qu'elles emportaient violation tant de la loi italienne sur l'administration pénitentiaire que des normes fixées par le CPT du Conseil de l'Europe et par la jurisprudence de la Cour européenne des droits de l'homme. En outre, pour la première fois en Italie, il décida que l'administration pénitentiaire devait indemniser le détenu à hauteur de 220 EUR pour le préjudice existentiel (danno esistenziale) découlant de la détention.

21. Le 30 septembre 2011, le ministère de la Justice se pourvut en cassation contre l'ordonnance du juge d'application des peines, soulevant notamment l'incompétence de ce juge en matière d'indemnisation des détenus. Par un arrêt du 5 juin 2012, la Cour de cassation déclara le recours de l'administration irrecevable pour tardiveté, étant donné qu'il avait été introduit au-delà du délai de 10 jours prévu par les dispositions légales pertinentes. Par conséquent, l'ordonnance du juge d'application des peines acquit l'autorité de la chose jugée.

22. Cette jurisprudence du juge d'application des peines de Lecce, reconnaissant aux détenus une indemnisation pour le préjudice existentiel découlant des conditions de détention, est restée isolée en Italie. D'autres juges d'application des peines ont en effet considéré qu'il n'entrait pas dans leurs prérogatives de condamner l'administration à dédommager les détenus pour le préjudice subi pendant la détention (voir, en ce sens, par exemple, les ordonnances des juges d'application des peines d'Udine et de Vercelli des 24 décembre 2011 et 18 avril 2012 respectivement).

III. MESURES PRISES PAR L'ETAT POUR REMÉDIER AU PROBLÈME DU SURPEUPLEMENT CARCÉRAL

23. En 2010, il y avait 67 961 personnes détenues dans les 206 prisons italiennes, pour une capacité maximale prévue de 45 000 personnes. Le taux national de surpeuplement était de 151 %.

24. Par un décret du 13 janvier 2010, le président du Conseil des ministres déclara l'état d'urgence au niveau national pour une durée d'un an en raison du surpeuplement dans les établissements pénitentiaires italiens.

25. Par l'ordonnance no 3861 du 19 mars 2010, intitulée « Dispositions urgentes de protection civile du fait du surpeuplement carcéral », le président du Conseil des ministres nomma un Commissaire délégué au ministère de la Justice chargé d'élaborer un plan d'intervention pour les prisons (Piano carceri).

26. Le 29 juin 2010, un Comité constitué du ministre de la Justice, du ministre des Infrastructures économiques et du chef du département de la Protection civile approuva le plan d'intervention présenté par le Commissaire délégué. Ledit plan prévoyait tout d'abord la construction de 11 nouveaux établissements pénitentiaires et de 20 annexes aux établissements déjà existants, ce qui impliquait la création de 9 150 places de détention supplémentaires et le recrutement de 2 000 nouveaux agents de police pénitentiaire. Le délai pour la fin des travaux de construction était fixé au 31 décembre 2012.

27. En outre, par la loi no 199 du 26 novembre 2010 furent adoptées des dispositions extraordinaires en matière d'exécution des peines. Ladite loi prévoit notamment que les peines de détention inférieures à douze mois, même si elles représentent des fractions de peines plus sévères restant à exécuter, peuvent être purgées au domicile de la personne condamnée ou dans un autre lieu d'accueil, public ou privé, hormis pour certaines exceptions liées à la gravité des délits.

Cette loi restera en vigueur le temps nécessaire pour la mise en œuvre du plan d'intervention pour les prisons mais en aucun cas au-delà du 31 décembre 2013.

28. L'état d'urgence au niveau national, initialement déclaré jusqu'au 31 décembre 2010, a été prorogé à deux reprises. Il est actuellement en vigueur jusqu'au 31 décembre 2012.

29. A la date du 13 avril 2012, les prisons italiennes accueillaient 66 585 détenus, soit un taux de surpeuplement de 148 %.

42 % des détenus sont en attente d'être jugés et sont placés en détention provisoire.

IV. TEXTES INTERNATIONAUX PERTINENTS

30. Les parties pertinentes des rapports généraux du Comité européen pour la prévention de la torture et des traitements inhumains et dégradants (« CPT ») se lisent ainsi :

Deuxième rapport général (CPT/Inf (92) 3) :

46. La question du surpeuplement relève directement du mandat du CPT. Tous les services et activités à l'intérieur d'une prison seront touchés si elle doit prendre en charge plus de prisonniers que le nombre pour lequel elle a été prévue. La qualité générale de la vie dans l'établissement s'en ressentira, et peut-être dans une mesure significative. De plus, le degré de surpeuplement d'une prison, ou dans une partie de celle-ci, peut être tel qu'il constitue, à lui seul, un traitement inhumain ou dégradant.

47. Un programme satisfaisant d'activités (travail, enseignement et sport) revêt une importance capitale pour le bien-être des prisonniers. Cela est valable pour tous les établissements, qu'ils soient d'exécution des peines ou de détention provisoire. Le CPT a relevé que les activités dans beaucoup de prisons de détention provisoire sont extrêmement limitées. L'organisation de programmes d'activités dans de tels établissements, qui connaissent une rotation assez rapide des détenus, n'est pas matière aisée. Il ne peut, à l'évidence, être question de programmes de traitement individualisé du type de ceux que l'on pourrait attendre d'un établissement d'exécution des peines. Toutefois, les prisonniers ne peuvent être simplement laissés à leur sort, à languir pendant des semaines, parfois des mois, confinés dans leur cellule, quand bien même les conditions matérielles seraient bonnes. Le CPT considère que l'objectif devrait être d'assurer que les détenus dans les établissements de détention provisoire soient en mesure de passer une partie raisonnable de la journée (8 heures ou plus) hors de leur cellule, occupés à des activités motivantes de nature variée. Dans les établissements pour prisonniers condamnés, évidemment, les régimes devraient être d'un niveau encore plus élevé.

48. L'exercice en plein air demande une mention spécifique. L'exigence d'après laquelle les prisonniers doivent être autorisés chaque jour à au moins une heure d'exercice en plein air, est largement admise comme une garantie fondamentale (de préférence, elle devrait faire partie intégrante d'un programme plus étendu d'activités). Le CPT souhaite souligner que tous les prisonniers sans exception (y compris ceux soumis à un isolement cellulaire à titre de sanction) devraient bénéficier quotidiennement d'un exercice en plein air. Il est également évident que les aires d'exercice extérieures devraient être raisonnablement spacieuses et, chaque fois que cela est possible, offrir un abri contre les intempéries.

49. L'accès, au moment voulu, à des toilettes convenables et le maintien de bonnes conditions d'hygiène sont des éléments essentiels d'un environnement humain.

A cet égard, le CPT doit souligner qu'il n'apprécie pas la pratique, constatée dans certains pays, de prisonniers devant satisfaire leurs besoins naturels en utilisant des seaux dans leur cellule, lesquels sont, par la suite, vidés à heures fixes. Ou bien une toilette devrait être installée dans les locaux cellulaires (de préférence dans une annexe sanitaire), ou bien des moyens devraient être mis en œuvre qui permettraient aux prisonniers de sortir de leur cellule à tout moment (y compris la nuit) pour se rendre aux toilettes, sans délai indu.

Les prisonniers devraient aussi avoir un accès régulier aux douches ou aux bains. De plus, il est souhaitable que les locaux cellulaires soient équipés de l'eau courante.

50. Le CPT souhaite ajouter qu'il est particulièrement préoccupé lorsqu'il constate dans un même établissement une combinaison de surpeuplement, de régimes pauvres en activités et d'un accès inadéquat aux toilettes ou locaux sanitaires. L'effet cumulé de telles conditions peut s'avérer extrêmement néfaste pour les prisonniers.

Septième rapport général (CPT/Inf (97) 10)

13. Ainsi que le CPT l'a souligné dans son 2e Rapport Général, la question du surpeuplement relève directement du mandat du Comité (cf. CPT/Inf (92) 3, paragraphe 46).

Une prison surpeuplée signifie, pour le détenu, être à l'étroit dans des espaces resserrés et insalubres ; une absence constante d'intimité (cela même lorsqu'il s'agit de satisfaire aux besoins naturels) ; des activités hors cellule limitées à cause d'une demande qui dépasse le personnel et les infrastructures disponibles ; des services de santé surchargés ; une tension accrue et, partant, plus de violence entre détenus comme entre détenus et personnel. Cette énumération est loin d'être exhaustive.

A plus d'une reprise, le CPT a été amené à conclure que les effets néfastes du surpeuplement avaient abouti à des conditions de détention inhumaines et dégradantes.

31. Le 30 septembre 1999, le Comité des Ministres du Conseil de l'Europe adopta la Recommandation Rec(99)22 concernant le surpeuplement des prisons et l'inflation carcérale. Ladite recommandation établit en particulier ce qui suit :

Le Comité des Ministres, en vertu de l'article 15.b du Statut du Conseil de l'Europe,

Considérant que le surpeuplement des prisons et la croissance de la population carcérale constituent un défi majeur pour les administrations pénitentiaires et l'ensemble du système de justice pénale sous l'angle tant des droits de l'homme que de la gestion efficace des établissements pénitentiaires ;

Considérant que la gestion efficace de la population carcérale est subordonnée à certaines circonstances telles que la situation globale de la criminalité, les priorités en matière de lutte contre la criminalité, l'éventail des peines prévues par les textes législatifs, la sévérité des peines prononcées, la fréquence du recours aux sanctions et mesures appliquées dans la communauté, l'usage de la détention provisoire, l'efficience et l'efficacité des organes de la justice pénale et, en particulier, l'attitude du public vis-à-vis de la criminalité et de sa répression ; (...)

Recommande aux gouvernements des Etats membres:

- de prendre toutes les mesures appropriées, lorsqu'ils revoient leur législation et leur pratique relatives au surpeuplement des prisons et à l'inflation carcérale, en vue d'appliquer les principes énoncés dans l'Annexe à la présente Recommandation;

Annexe à la Recommandation no R (99) 22

I. Principes de base

1. La privation de liberté devrait être considérée comme une sanction ou mesure de dernier recours et ne devrait dès lors être prévue que lorsque la gravité de l'infraction rendrait toute autre sanction ou mesure manifestement inadéquate.

2. L'extension du parc pénitentiaire devrait être plutôt une mesure exceptionnelle, puisqu'elle n'est pas, en règle générale, propre à offrir une solution durable au problème du surpeuplement. Les pays dont la capacité carcérale pourrait être globalement suffisante mais mal adaptée aux besoins locaux devraient s'efforcer d'aboutir à une répartition plus rationnelle de cette capacité.

3. Il convient de prévoir un ensemble approprié de sanctions et de mesures appliquées dans la communauté, éventuellement graduées en termes de sévérité ; il y a lieu d'inciter les procureurs et les juges à y recourir aussi largement que possible.

4. Les États membres devraient examiner l'opportunité de décriminaliser certains types de délits ou de les requalifier de façon à éviter qu'ils n'appellent des peines privatives de liberté.

5. Afin de concevoir une action cohérente contre le surpeuplement des prisons et l'inflation carcérale, une analyse détaillée des principaux facteurs contribuant à ces phénomènes devrait être menée. Une telle analyse devrait porter, notamment, sur les catégories d'infractions susceptibles d'entraîner de longues peines de prison, les priorités en matière de lutte contre la criminalité, les attitudes et préoccupations du public ainsi que les pratiques existantes en matière de prononcé des peines.

(...)

III. Mesures à mettre en œuvre avant le procès pénal

Éviter l'action pénale – Réduire le recours à la détention provisoire

10. Des mesures appropriées devraient être prises en vue de l'application intégrale des principes énoncés dans la Recommandation no (87) 18 concernant la simplification de la justice pénale, ce qui implique, en particulier, que les États membres, tout en tenant compte de leurs principes constitutionnels ou de leur tradition juridique propres, appliquent le principe de l'opportunité des poursuites (ou des mesures ayant le même objectif) et recourent aux procédures simplifiées et aux transactions en tant qu'alternatives aux poursuites dans les cas appropriés, en vue d'éviter une procédure pénale complète.

11. L'application de la détention provisoire et sa durée devraient être réduites au minimum compatible avec les intérêts de la justice. Les États membres devraient, à cet effet, s'assurer que leur législation et leur pratique sont conformes aux dispositions pertinentes de la Convention européenne des Droits de l'Homme et à la jurisprudence de ses organes de contrôle et se laisser guider par les principes énoncés dans la Recommandation no R (80) 11 concernant la détention provisoire s'agissant, en particulier, des motifs permettant d'ordonner la mise en détention provisoire.

12. Il convient de faire un usage aussi large que possible des alternatives à la détention provisoire, telles que l'obligation, pour le suspect, de résider à une adresse spécifiée, l'interdiction de quitter ou de gagner un lieu déterminé sans autorisation, la mise en liberté sous caution, ou le contrôle et le soutien d'un organisme spécifié par l'autorité judiciaire. A cet égard, il convient d'être attentif aux possibilités de contrôler au moyen de systèmes de surveillance électroniques l'obligation de demeurer dans un lieu stipulé.

13. Il s'impose, pour soutenir le recours efficace et humain à la détention provisoire, de dégager les ressources financières et humaines nécessaires et, le cas échéant, de mettre au point les moyens procéduraux et les techniques de gestion appropriés.

(...)

V. Mesures à mettre en œuvre au-delà du procès pénal

La mise en œuvre des sanctions et mesures appliquées dans la communauté – L'exécution des peines privatives de liberté

22. Pour faire des sanctions et des mesures appliquées dans la communauté des alternatives crédibles aux peines d'emprisonnement de courte durée, il convient d'assurer leur mise en œuvre efficiente, notamment :

– en mettant en place l'infrastructure requise pour l'exécution et le suivi de ces sanctions communautaires, en particulier en vue de rassurer les juges et les procureurs sur leur efficacité ;

– en mettant au point et en appliquant des techniques fiables de prévision et d'évaluation des risques ainsi que des stratégies de supervision, afin d'identifier le risque de récidive du délinquant et de garantir la protection et la sécurité du public.

23. Il conviendrait de favoriser le développement des mesures permettant de réduire la durée effective de la peine purgée, en préférant les mesures individualisées, telles la libération conditionnelle, aux mesures collectives de gestion du surpeuplement carcéral (grâces collectives, amnisties).

24. La libération conditionnelle devrait être considérée comme une des mesures les plus efficaces et les plus constructives qui, non seulement, réduit la durée de la détention mais contribue aussi de manière non négligeable à la réintégration planifiée du délinquant dans la communauté.

25. Il faudrait, pour promouvoir et étendre le recours à la libération conditionnelle, créer dans la communauté les meilleures conditions de soutien et d'aide au délinquant ainsi que de supervision de celui-ci, en particulier en vue d'amener les instances judiciaires ou administratives compétentes à considérer cette mesure comme une option valable et responsable.

26. Des programmes de traitement efficaces en cours de détention ainsi que de contrôle et de traitement au-delà de la libération devraient être conçus et mis en œuvre de façon à faciliter la réinsertion des délinquants, à réduire la récidive, à assurer la sécurité et la protection du public et à inciter les juges et procureurs à considérer les mesures visant à réduire la durée effective de la peine à purger ainsi que les sanctions et mesures appliquées dans la communauté, comme des options constructives et responsables.

32. La deuxième partie de la Recommandation Rec(2006)2 du Comité des Ministres aux États membres sur les Règles pénitentiaires européennes (adoptée le 11 janvier 2006, lors de la 952e réunion des Délégués des Ministres) est dédiée aux conditions de détention. Dans ses passages pertinents en l'espèce, elle se lit comme suit:

18.1 Les locaux de détention et, en particulier, ceux qui sont destinés au logement des détenus pendant la nuit, doivent satisfaire aux exigences de respect de la dignité humaine et, dans la mesure du possible, de la vie privée, et répondre aux conditions minimales requises en matière de santé et d'hygiène, compte tenu des conditions climatiques, notamment en ce qui concerne l'espace au sol, le volume d'air, l'éclairage, le chauffage et l'aération.

18.2 Dans tous les bâtiments où des détenus sont appelés à vivre, à travailler ou à se réunir:

a. les fenêtres doivent être suffisamment grandes pour que les détenus puissent lire et travailler à la lumière naturelle dans des conditions normales, et pour permettre l'entrée d'air frais, sauf s'il existe un système de climatisation approprié;

b. la lumière artificielle doit être conforme aux normes techniques reconnues en la matière; et

c. un système d'alarme doit permettre aux détenus de contacter le personnel immédiatement.

18.3 Le droit interne doit définir les conditions minimales requises concernant les points répertoriés aux paragraphes 1 et 2.

18.4 Le droit interne doit prévoir des mécanismes garantissant que le respect de ces conditions minimales ne soit pas atteint à la suite du surpeuplement carcéral.

18.5 Chaque détenu doit en principe être logé pendant la nuit dans une cellule individuelle, sauf lorsqu'il est considéré comme préférable pour lui qu'il cohabite avec d'autres détenus.

18.6 Une cellule doit être partagée uniquement si elle est adaptée à un usage collectif et doit être occupée par des détenus reconnus aptes à cohabiter.

18.7 Dans la mesure du possible, les détenus doivent pouvoir choisir avant d'être contraints de partager une cellule pendant la nuit.

18.8 La décision de placer un détenu dans une prison ou une partie de prison particulière doit tenir compte de la nécessité de séparer:

a. les prévenus des détenus condamnés;

b. les détenus de sexe masculin des détenus de sexe féminin; et

c. les jeunes détenus adultes des détenus plus âgés.

18.9 Il peut être dérogé aux dispositions du paragraphe 8 en matière de séparation des détenus afin de permettre à ces derniers de participer ensemble à des activités organisées. Cependant les groupes visés doivent toujours être séparés la nuit, à moins que les intéressés ne consentent à cohabiter et que les autorités pénitentiaires estiment que cette mesure s'inscrit dans l'intérêt de tous les détenus concernés.

18.10 Les conditions de logement des détenus doivent satisfaire aux mesures de sécurité les moins restrictives possible et compatibles avec le risque que les intéressés s'évadent, se blessent ou blessent d'autres personnes.

EN DROIT

I. SUR LA JONCTION DES REQUÊTES

33. Compte tenu de la similitude des requêtes quant aux doléances des requérants et au problème de fond qu'elles posent, la Cour estime nécessaire de les joindre et décide de les examiner conjointement dans un seul arrêt.

II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L'ARTICLE 3 DE LA CONVENTION

34. Invoquant l'article 3 de la Convention, les requérants soutiennent que leurs conditions de détention respectives dans les établissements pénitentiaires de Busto Arsizio et de Piacenza constituent des traitements inhumains et dégradants. L'article 3 de la Convention est ainsi libellé:

Nul ne peut être soumis à la torture ni à des peines ou traitements inhumains ou dégradants.

35. Le Gouvernement s'oppose à cette thèse.

A. Sur la recevabilité

1. L'exception tirée du défaut de qualité de victime

36. Le Gouvernement observe que tous les requérants sauf M. Ghisoni ont été libérés ou transférés dans d'autres cellules après l'introduction de leurs requêtes. Il est d'avis que ces requérants ne peuvent plus se prétendre victimes de la violation de la Convention qu'ils allèguent et soutient que leurs requêtes devraient être rejetées.

37. Les requérants concernés s'y opposent.

38. La Cour rappelle qu'une décision ou une mesure favorable au requérant ne suffit en principe à lui retirer la qualité de victime que si les autorités nationales ont reconnu, explicitement ou en substance, puis réparé la violation de la Convention (voir, par exemple, Eckle c. Allemagne, 15 juillet 1982, § 69, série A no 51 ; Amuur c. France, 25 juin 1996, § 36, Recueil des arrêts et décisions 1996-III ; Dalban c. Roumanie [GC], no 28114/95, § 44, CEDH 1999-VI ; et Jensen c. Danemark (déc.), no 48470/99, CEDH 2001-X).

39. Les requérants se plaignent devant la Cour d'avoir été détenus dans les prisons de Busto Arsizio et de Piacenza pendant des périodes importantes dans des conditions contraires à la Convention. Or, il est vrai qu'après l'introduction de leurs requêtes respectives, les intéressés ont été soit libérés soit transférés dans d'autres établissements pénitentiaires. Cependant, on ne saurait considérer que les autorités internes aient ainsi reconnu les violations alléguées par les requérants et ensuite réparé le préjudice qu'ils auraient pu subir du fait des situations qu'ils décrivent dans leurs requêtes.

40. La Cour conclut que tous les requérants peuvent toujours se prétendre victimes d'une violation de leurs droits garantis par l'article 3 de la Convention.

2. L'exception de non-épuisement des voies de recours internes

41. Le Gouvernement excipe du non-épuisement des voies de recours internes. Il affirme que toute personne détenue ou internée dans les prisons italiennes peut saisir le juge d'application des peines d'une réclamation en vertu des articles 35 et 69 de la loi no 354 de 1975. Cette voie de recours serait accessible et effective et permettrait d'obtenir des décisions ayant valeur contraignante et pouvant redresser d'éventuelles violations des droits des détenus. Selon le Gouvernement, la procédure devant le juge d'application des peines constitue un remède pleinement judiciaire, à l'issue duquel l'autorité saisie peut prescrire à l'administration pénitentiaire des mesures obligatoires visant l'amélioration des conditions de détention de la personne intéressée.

42. Or, le Gouvernement observe que seul M. Ghisoni, requérant de l'affaire no 61535/09, s'est prévalu de cette possibilité en introduisant une réclamation devant le juge d'application des peines de Reggio Emilia et en obtenant une ordonnance favorable. D'après le Gouvernement, cela constitue la preuve de l'accessibilité et de l'effectivité de la voie de recours en question. Il s'ensuivrait que les requérants qui ne se sont pas prévalus dudit remède n'ont pas épuisé les voies de recours internes.

43. Quant à l'inexécution de la part de l'administration pénitentiaire de ladite ordonnance du juge d'application des peines de Reggio Emilia, le Gouvernement affirme que M. Ghisoni a omis de demander la mise en exécution de cette décision aux autorités judiciaires internes. Par conséquent il estime que la requête de M. Ghisoni doit également être déclarée irrecevable pour non-épuisement des voies de recours internes.

44. Les requérants soutiennent que le système italien n'offre aucune voie de recours permettant de remédier au surpeuplement des prisons italiennes et d'obtenir une amélioration des conditions de détention.

45. En particulier, ils allèguent l'ineffectivité de la procédure devant le juge d'application des peines. Ils observent tout d'abord que le recours en question ne constitue pas un remède judiciaire mais un recours de type administratif, les décisions du juge n'étant nullement contraignantes pour les directions des établissements pénitentiaires. Ils soutiennent par ailleurs que de nombreux détenus ont essayé d'améliorer leurs mauvaises conditions carcérales par le biais de réclamations au juge d'application des peines, sans toutefois n'obtenir aucun résultat. Par conséquent, ils s'estiment dispensés de l'obligation d'épuiser ce remède.

46. M. Ghisoni, quant à lui, soutient avoir épuisé les voies de recours internes en saisissant le juge d'application des peines de Reggio Emilia d'une réclamation sur le fondement des articles 35 et 69 de la loi sur l'administration pénitentiaire. Son expérience serait la preuve de l'ineffectivité de la voie de recours indiquée par le Gouvernement.

Il allègue que l'ordonnance rendue par le juge d'application des peines le 20 août 2010, reconnaissant que les conditions carcérales à la prison de Piacenza étaient inhumaines et ordonnant aux autorités administratives compétentes de mettre en place toutes les mesures nécessaires pour y remédier d'urgence, est restée lettre morte pendant plusieurs mois. Il ne voit pas quelle autre démarche il aurait pu accomplir pour obtenir une exécution rapide de l'ordonnance.

47. La Cour rappelle que la règle de l'épuisement des voies de recours internes vise à ménager aux États contractants l'occasion de prévenir ou de redresser les violations alléguées contre eux avant que ces allégations ne lui soient soumises (voir, parmi beaucoup d'autres, Remli c. France, 23 avril 1996, § 33, Recueil 1996-II, et Selmouni c. France [GC], no 25803/94, § 74, CEDH 1999-V). Cette règle se fonde sur l'hypothèse, objet de l'article 13 de la Convention – et avec lequel elle présente d'étroites affinités –, que l'ordre interne offre un recours effectif quant à la violation alléguée (Kudla c. Pologne [GC], no 30210/96, § 152, CEDH 2000-XI).

48. Cependant, l'obligation découlant de l'article 35 se limite à celle de faire un usage normal des recours vraisemblablement effectifs, suffisants et accessibles (entre autres, Vernillo c. France, 20 février 1991, § 27, série A no 198). En particulier, la Convention ne prescrit l'épuisement que des recours à la fois relatifs aux violations incriminées, disponibles et adéquats. Ils doivent exister à un degré suffisant de certitude non seulement en théorie mais aussi en pratique, sans quoi leur manquent l'effectivité et l'accessibilité voulues (Dalia c. France, 19 février 1998, § 38, Recueil 1998-I). De plus, selon les principes de droit international généralement reconnus, certaines circonstances particulières peuvent dispenser le requérant de l'obligation d'épuiser les voies de recours internes qui s'offrent à lui. Cette règle ne s'applique pas non plus lorsqu'est prouvée l'existence d'une pratique administrative consistant en la répétition d'actes interdits par la Convention et la tolérance officielle de l'Etat, de sorte que toute procédure serait vaine ou ineffective (Aksoy c. Turquie, arrêt du 18 décembre 1996, Recueil 1996-VI, § 52).

49. Enfin, l'article 35 § 1 de la Convention prévoit une répartition de la charge de la preuve. Pour ce qui concerne le Gouvernement, lorsqu'il excipe du non-épuisement, il doit convaincre la Cour que le recours était effectif et disponible tant en théorie qu'en pratique à l'époque des faits, c'est-à-dire qu'il était accessible, était susceptible d'offrir au requérant le redressement de ses griefs et présentait des perspectives raisonnables de succès (Akdivar et autres c. Turquie, 16 septembre 1996, § 68, Recueil 1996-IV ; et Sejdovic c. Italie [GC], no 56581/00, § 46, CEDH 2006-II).

50. En particulier, la Cour a déjà eu l'occasion d'indiquer que dans l'appréciation de l'effectivité des remèdes concernant des allégations de mauvaises conditions de détention, la question décisive est de savoir si la personne intéressée peut obtenir des juridictions internes un redressement direct et approprié, et pas simplement une protection indirecte de ses droits garantis par l'article 3 de la Convention (voir, entre autres, Mandic et Jovic c. Slovénie, nos 5774/10 et 5985/10, § 107, 20 octobre 2011). Ainsi, un recours exclusivement en réparation ne saurait être considéré comme suffisant s'agissant des allégations de conditions d'internement ou de détention prétendument contraires à l'article 3, dans la mesure où il n'a pas un effet « préventif » en ce sens qu'il n'est pas à même d'empêcher la continuation de la violation alléguée ou de permettre aux détenus d'obtenir une amélioration de leurs conditions matérielles de détention (Cenbauer c. Croatie (déc), no73786/01, 5 février 2004 ; Norbert Sikorski c. Pologne, no 17599/05, § 116, 22 octobre 2009 ; Mandic et Jovic c. Slovénie, précité § 116 ; Parascineti c. Roumanie, no 32060/05, § 38, 13 mars 2012).

En ce sens, pour qu'un système de protection des droits des détenus garantis par l'article 3 de la Convention soit effectif, les remèdes préventifs et compensatoires doivent coexister de façon complémentaire (Ananyev et autres c. Russie, nos 42525/07 et 60800/08, § 98, 10 janvier 2012).

51. En l'espèce, la Cour doit déterminer si la réclamation devant le juge italien de l'application des peines constitue une voie de recours répondant aux critères établis par elle dans sa jurisprudence. Tout d'abord, elle relève que les parties ne s'accordent pas quant à la nature du remède en question, le Gouvernement alléguant la nature pleinement juridictionnelle de la procédure devant le juge d'application des peines, tandis que les requérants estiment que, vu sa nature simplement administrative, il ne s'agit pas d'un remède à épuiser. Or, la Cour estime que cette question n'est pas déterminante dans la mesure où elle a déjà relevé que, dans certaines circonstances, les voies de nature administrative peuvent s'avérer efficaces – et constituer donc des remèdes à épuiser – s'agissant de griefs relatifs à l'application de la réglementation relative au régime carcéral (Norbert Sikorski c. Pologne, précité, § 111).

52. Cela étant, il reste à trancher la question de l'effectivité en pratique de la voie de recours indiquée en l'espèce par le gouvernement défendeur. A cet égard, la Cour constate qu'en dépit de l'affirmation de celui-ci selon laquelle les décisions rendues par les juges d'application des peines dans le cadre de la procédure prévue par la loi sur l'administration pénitentiaire ont force obligatoire pour les autorités administratives compétentes, l'ordonnance du juge de Reggio Emilia du 20 août 2010, favorable à M. Ghisoni et à ses codétenus et emportant adoption d'urgence de mesures adéquates, est restée longtemps inexécutée. Il ressort du dossier que le requérant ne fut transféré dans une cellule pour deux personnes, disposant ainsi d'un espace compatible avec les normes européennes, qu'en février 2011. A cet égard, le Gouvernement s'est borné à soutenir que les intéressés auraient dû solliciter l'exécution rapide de ladite ordonnance auprès des « autorités judiciaires internes », sans par ailleurs préciser lesquelles.

53. Aux yeux de la Cour, il est difficile de concilier cette dernière affirmation du Gouvernement avec l'effectivité alléguée de la procédure de réclamation devant le juge d'application des peines. Elle observe que, à supposer même qu'il existe une voie de recours visant l'exécution des ordonnances des juges d'application des peines, ce qui n'a nullement été démontré par le Gouvernement, on ne saurait prétendre qu'un détenu ayant obtenu une décision favorable multiplie les recours afin d'obtenir la reconnaissance de ses droits fondamentaux au niveau de l'administration pénitentiaire.

54. Par ailleurs, la Cour a déjà observé que le dysfonctionnement des remèdes préventifs dans des situations de surpeuplement carcéral est largement dépendant de la nature structurelle du phénomène (Ananyev et autres c. Russie, précité, § 111). Or, il ressort des dossiers des présentes requêtes, ainsi que des rapports sur la situation du système pénitentiaire italien, non remise en cause par le Gouvernement devant la Cour, que les établissements pénitentiaires de Busto Arsizio et de Piacenza sont largement surpeuplés, à l'instar d'un grand nombre de prisons italiennes, si bien que le surpeuplement carcéral en Italie s'apparente à un phénomène structurel et ne concerne pas exclusivement le cas particulier des requérants (voir, notamment, Mamedova c. Russie, no 7064/05, § 56, 1er juin 2006 ; Norbert Sikorski c. Pologne, précité, § 121). Dans ces conditions, on peut facilement concevoir que les autorités pénitentiaires italiennes ne soient pas en mesure d'exécuter les décisions des juges d'application des peines et de garantir aux détenus des conditions de détention conformes à la Convention.

55. Au vu de ces circonstances, la Cour considère qu'il n'a pas été démontré que la voie de recours indiquée par le Gouvernement, compte tenu notamment de la situation actuelle du système pénitentiaire, est effective en pratique, c'est-à-dire susceptible d'empêcher la continuation de la violation alléguée et d'assurer aux requérants une amélioration de leurs conditions matérielles de détention. Dès lors, ceux-ci n'étaient pas tenus de l'épuiser avant de saisir la Cour.

56. Partant, la Cour estime qu'il convient de rejeter également l'exception de non-épuisement soulevée par le Gouvernement. Elle constate que les requêtes ne sont pas manifestement mal fondées au sens de l'article 35 § 3 a) de la Convention. Relevant par ailleurs qu'elles ne se heurtent à aucun autre motif d'irrecevabilité, elle les déclare donc recevables.

B. Sur le fond

1. Arguments des parties

57. Les requérants se plaignent du manque d'espace vital dans leurs cellules respectives. Ayant tous partagé des cellules de 9 m² avec deux autres personnes, ils n'auraient donc disposé que d'un espace personnel de 3 m². Cet espace, déjà insuffisant, était par ailleurs encore restreint par la présence de mobilier dans les cellules.

58. En outre, les requérants allèguent l'existence de graves problèmes de distribution d'eau chaude dans les établissements pénitentiaires de Busto Arsizio et de Piacenza. Ils affirment que la pénurie d'eau chaude a longtemps limité à trois fois par semaine l'accès à la douche. Enfin, les requérants détenus à Piacenza se plaignent de l'apposition aux fenêtres des cellules de lourds barreaux métalliques empêchant l'air et la lumière du jour d'entrer dans les locaux.

59. Le Gouvernement s'oppose aux arguments des requérants, soutenant de manière générale que les conditions de détention dénoncées par les intéressés n'atteignent en aucun cas le seuil minimum de gravité requis par l'article 3 de la Convention.

60. Concernant l'établissement pénitentiaire de Busto Arsizio, le Gouvernement affirme que la situation est sous le contrôle des autorités, le surpeuplement dans cet établissement n'ayant pas atteint un seuil préoccupant. Il indique qu'à la date du 8 février 2011, l'établissement, qui est prévu pour héberger 297 personnes, accueillait 439 détenus. Il reconnaît qu'un troisième lit a été ajouté dans les cellules en raison de la situation de surpeuplement dans l'établissement. Cependant, le fait de partager une cellule de 9 m² avec deux autres personnes ne constituerait pas un traitement inhumain ou dégradant. Par ailleurs, le Gouvernement ne soutient que le problème du manque d'eau chaude dans l'établissement dénoncé par les requérants est à présent résolu grâce à l'installation d'un nouveau système de distribution hydrique.

61. Pour ce qui est des conditions de détention à la prison de Piacenza, le Gouvernement soutient que la capacité maximale de l'établissement est de 346 personnes. Or, selon lui, il accueillait 412 personnes le 11 mars 2011. Le Gouvernement en conclut que le surpeuplement dans cet établissement, bien que réel, n'atteint pas des proportions préoccupantes.

62. D'après le Gouvernement, les cellules de la prison de Piacenza ont une superficie de 11 m², contrairement aux affirmations des requérants, et sont généralement occupées par deux personnes. Néanmoins, il admet qu'un troisième détenu a été placé dans certaines cellules de la prison pendant des périodes limitées, dans le but de faire face à la croissance de la population carcérale.

63. Selon le Gouvernement, les requérants n'ont ni prouvé avoir disposé d'un espace personnel inférieur à 3 m², ni précisé la durée de leur maintien dans les conditions alléguées devant la Cour. Dès lors, leurs doléances ne seraient pas suffisamment étayées.

64. Quant aux autres traitements allégués par les requérants, le Gouvernement affirme que le problème de la pénurie d'eau chaude dans la prison de Piacenza était lié à un dysfonctionnement de la station de pompage et a maintenant été résolu par les autorités et que, dès lors, il est possible à présent d'accéder à la douche tous les jours. Enfin, le Gouvernement soutient que les détenus à la prison de Piacenza passent quatre heures par jour à l'extérieur de leurs cellules et consacrent deux heures supplémentaires aux activités sociales.

2. Principes établis dans la jurisprudence de la Cour

65. La Cour relève que les mesures privatives de liberté impliquent habituellement pour un détenu certains inconvénients. Toutefois, elle rappelle que l'incarcération ne fait pas perdre à un détenu le bénéfice des droits garantis par la Convention. Au contraire, dans certains cas, la personne incarcérée peut avoir besoin d'une protection accrue en raison de la vulnérabilité de sa situation et parce qu'elle se trouve entièrement sous la responsabilité de l'État. Dans ce contexte, l'article 3 fait peser sur les autorités une obligation positive qui consiste à s'assurer que tout prisonnier est détenu dans des conditions qui sont compatibles avec le respect de la dignité humaine, que les modalités d'exécution de la mesure ne soumettent pas l'intéressé à une détresse ou à une épreuve d'une intensité qui excède le niveau inévitable de souffrance inhérent à la détention et que, eu égard aux exigences pratiques de l'emprisonnement, la santé et le bien-être du prisonnier sont assurés de manière adéquate (Kudla c. Pologne [GC], no 30210/96, § 94, CEDH 2000-XI ; Norbert Sikorski c. Pologne, précité § 131).

66. S'agissant des conditions de détention, la Cour prend en compte les effets cumulatifs de celles-ci ainsi que les allégations spécifiques du requérant (Dougoz c. Grèce, nº 40907/98, CEDH 2001-II). En particulier, le temps pendant lequel un individu a été détenu dans les conditions incriminées constitue un facteur important à considérer (Alver c. Estonie, no 64812/01, 8 novembre 2005).

67. Lorsque la surpopulation carcérale atteint un certain niveau, le manque d'espace dans un établissement pénitentiaire peut constituer l'élément central à prendre en compte dans l'appréciation de la conformité d'une situation donnée à l'article 3 (voir, en ce sens, Karalevicius c. Lituanie, no 53254/99, 7 avril 2005).

68. Ainsi, dès lors qu'elle a été confrontée à des cas de surpopulation sévère, la Cour a jugé que cet élément, à lui seul, suffit pour conclure à la violation de l'article 3 de la Convention. En règle générale, bien que l'espace estimé souhaitable par le CPT pour les cellules collectives soit de 4 m², il s'agit de cas de figure où l'espace personnel accordé à un requérant était inférieur à 3 m² (Kantyrev c. Russie, no 37213/02, §§ 50-51, 21 juin 2007 ; Andreï Frolov c. Russie, no 205/02, §§ 47-49, 29 mars 2007 ; Kadikis c. Lettonie, no 62393/00, § 55, 4 mai 2006 ; Sulejmanovic c. Italie, no 22635/03, § 43, 16 juillet 2009).

69. En revanche, dans des affaires où la surpopulation n'était pas importante au point de soulever à elle seule un problème sous l'angle de l'article 3, la Cour a noté que d'autres aspects des conditions de détention étaient à prendre en compte dans l'examen du respect de cette disposition. Parmi ces éléments figurent la possibilité d'utiliser les toilettes de manière privée, l'aération disponible, l'accès à la lumière et à l'air naturels, la qualité du chauffage et le respect des exigences sanitaires de base (voir également les éléments ressortant des règles pénitentiaires européennes adoptées par le Comité des Ministres, citées au paragraphe 32 ci-dessus). Aussi, même dans des affaires où chaque détenu disposait de 3 à 4 m², la Cour a conclu à la violation de l'article 3 dès lors que le manque d'espace s'accompagnait d'un manque de ventilation et de lumière (Moisseiev c. Russie, no 62936/00, 9 octobre 2008 ; voir également Vlassov c. Russie, no 78146/01, § 84, 12 juin 2008 ; Babouchkine c. Russie, no 67253/01, § 44, 18 octobre 2007) ; d'un accès limité à la promenade en plein air (István Gábor Kovács c. Hongrie, no 15707/10, § 26, 17 janvier 2012) ou d'un manque total d'intimité dans les cellules (voir, mutatis mutandis, Belevitskiy c. Russie, no 72967/01, §§ 73-79, 1er mars 2007 ; Khudoyorov c. Russie, no 6847/02, §§ 106-107, ECHR 2005-X (extraits) ; et Novoselov c. Russie, no 66460/01, §§ 32 et 40-43, 2 juin 2005).

3. Application des principes susmentionnés aux présentes affaires

70. La Cour observe tout d'abord que le Gouvernement n'a pas contesté que MM. Torreggiani, Biondi et Bamba ont occupé tout au long de leur détention à la prison de Busto Arsizio des cellules de 9 m², chacun avec deux autres personnes.

71. En revanche, les versions des parties divergent quant aux dimensions des cellules occupées par les requérants détenus à la prison de Piacenza et au nombre d'occupants de celles-ci. Chacun des cinq requérants concernés affirme partager des cellules de 9 m² avec deux autres personnes, tandis que le Gouvernement soutient que les cellules en question mesurent 11 m² et sont en règle générale occupées par deux personnes. La Cour note par ailleurs que le Gouvernement n'a fourni aucun document au sujet des requérants concernés ni n'a présenté d'informations concernant les dimensions réelles des cellules occupés par ceux-ci. Selon lui, il appartient aux requérants de prouver la réalité de leurs affirmations concernant l'espace personnel dont ils disposent et la durée du traitement allégué devant la Cour.

72. Sensible à la vulnérabilité particulière des personnes se trouvant sous le contrôle exclusif des agents de l'État, telles les personnes détenues, la Cour réitère que la procédure prévue par la Convention ne se prête pas toujours à une application rigoureuse du principe affirmanti incumbit probatio (la preuve incombe à celui qui affirme) car, inévitablement, le gouvernement défendeur est parfois seul à avoir accès aux informations susceptibles de confirmer ou d'infirmer les affirmations du requérant (Khoudoyorov c. Russie, no 6847/02, § 113, CEDH 2005-X (extraits) ; et Benediktov c. Russie, no 106/02, § 34, 10 mai 2007 ; Brânduse c. Roumanie, no 6586/03, § 48, 7 avril 2009 ; Ananyev et autres c. Russie, précité, § 123). Il s'ensuit que le simple fait que la version du Gouvernement contredit celle fournie par le requérant ne saurait, en l'absence de tout document ou explication pertinents de la part du Gouvernement, amener la Cour à rejeter des allégations de l'intéressé comme non étayées (Ogica c. Roumanie, no 24708/03, § 43, 27 mai 2010).

73. Dès lors, dans la mesure où le Gouvernement n'a pas soumis à la Cour des informations pertinentes propres à justifier ses affirmations, la Cour examinera la question des conditions de détention des requérants sur la base des allégations des intéressés et à la lumière de l'ensemble des informations en sa possession.

74. A cet égard, elle note que les versions des requérants détenus à Piacenza sont unanimes quant aux dimensions de leurs cellules. De plus, la circonstance que la majorité des locaux de détention dudit établissement mesurent 9 m² est confirmée par les ordonnances du juge d'application des peines de Reggio Emilia (paragraphe 11 ci-dessus). S'agissant du nombre de personnes accueillies dans les cellules, le Gouvernement n'a présenté aucun document pertinent extrait des registres de la prison, alors qu'il est le seul à avoir accès à ce genre d'informations, tout en reconnaissant que la situation de surpeuplement à la prison de Piacenza a rendu nécessaire le placement d'une troisième personne dans certaines cellules de l'établissement.

75. En l'absence de tout document prouvant le contraire et compte tenu de la situation de surpeuplement généralisé à la prison de Piacenza, la Cour n'a aucune raison de douter des allégations de MM. Sela, Ghisoni, Hajjoubi et Haili selon lesquelles ils ont partagé leurs cellules avec deux autres personnes, disposant ainsi, à l'instar de MM. Torreggiani, Bamba et Biondi (voir paragraphe 70 ci-dessus), d'un espace vital individuel de 3 m². Elle observe que cet espace était par ailleurs encore restreint par la présence de mobilier dans les cellules.

76. Au vu de ce qui précède, la Cour considère que les requérants n'ont pas bénéficié d'un espace de vie conforme aux critères qu'elle a jugés acceptables par sa jurisprudence. Elle souhaite rappeler encore une fois dans ce contexte que la norme en matière d'espace habitable dans les cellules collectives recommandée par le CPT est de quatre mètres carrés (Ananyev et autres, précité, §§ 144 et 145).

77. La Cour observe ensuite que le manque d'espace sévère dont les sept requérants ont souffert pendant des périodes comprises entre quatorze mois et cinquante-quatre mois (paragraphes 6 et 7 ci-dessus), qui représente en soi un traitement contraire à la Convention, semble avoir été encore aggravé par d'autres traitements allégués par les intéressés. Le manque d'eau chaude dans les deux établissements pendant de longues périodes, qui a été reconnu par le Gouvernement, ainsi que l'éclairage et la ventilation insuffisants dans les cellules de la prison de Piacenza, sur lesquels le Gouvernement ne s'est pas exprimé, n'ont pas manqué d'engendrer chez les requérants une souffrance supplémentaire, bien que ne constituant pas en soi un traitement inhumain et dégradant.

78. Même si la Cour admet qu'en l'espèce rien n'indique qu'il y ait eu intention d'humilier ou de rabaisser les requérants, l'absence d'un tel but ne saurait exclure un constat de violation de l'article 3 (voir, parmi d'autres, Peers c. Grèce, no 28524/95, § 74, CEDH 2001-III). La Cour estime que les conditions de détention en cause, compte tenu également de la durée d'incarcération des requérants, ont soumis les intéressés à une épreuve d'une intensité qui excédait le niveau inévitable de souffrance inhérent à la détention.

79. Partant, il y a eu violation de l'article 3 de la Convention.

III. SUR L'APPLICATION DE L'ARTICLE 46 DE LA CONVENTION

80. Aux termes de l'article 46 de la Convention :

1. Les Hautes Parties contractantes s'engagent à se conformer aux arrêts définitifs de la Cour dans les litiges auxquels elles sont parties.

2. L'arrêt définitif de la Cour est transmis au Comité des Ministres qui en surveille l'exécution.

A. Arguments des parties

81. Le Gouvernement ne s'oppose pas à l'application de la procédure de l'arrêt pilote prévue par l'article 46 de la Convention, tout en faisant observer que les autorités italiennes ont mis en place une série de mesures importantes visant la résolution du problème du surpeuplement carcéral. Il exhorte la Cour à prendre en considération les efforts déployés par l'État italien.

82. Les requérants allèguent l'existence en Italie d'un problème structurel et se déclarent favorables à l'application de la procédure en question. Seul M. Torreggiani (requête no 43517/09) s'est opposé à l'application de la procédure de l'arrêt pilote, au motif qu'il n'accepte pas que son cas reçoive un traitement similaire à celui d'autres requérants.

B. Appréciation de la Cour

1. Principes généraux pertinents

83. La Cour rappelle que, tel qu'interprété à la lumière de l'article 1 de la Convention, l'article 46 crée pour l'État défendeur l'obligation juridique de mettre en œuvre, sous le contrôle du Comité des Ministres, les mesures générales et/ou individuelles qui s'imposent pour sauvegarder le droit du requérant dont la Cour a constaté la violation. Des mesures de ce type doivent aussi être prises à l'égard d'autres personnes dans la même situation que l'intéressé, l'État étant censé mettre un terme aux problèmes à l'origine des constats opérés par la Cour (Scozzari et Giunta c. Italie [GC], nos 39221/98 et 41963/98, § 249, CEDH 2000-VIII ; S. et Marper c. Royaume-Uni [GC], nos 30562/04 et 30566/04, § 134, 4 décembre 2008).

84. Afin de faciliter une mise en œuvre effective de ses arrêts suivant le principe ci-dessus, la Cour peut adopter une procédure d'arrêt pilote lui permettant de mettre clairement en lumière, dans son arrêt, l'existence de problèmes structurels à l'origine des violations et d'indiquer les mesures ou actions particulières que l'État défendeur devra prendre pour y remédier (Hutten-Czapska c. Pologne [GC], no 35014/97, §§ 231-239 et son dispositif, CEDH 2006-VIII, et Broniowski c. Pologne [GC], no 31443/96, §§ 189-194 et son dispositif, CEDH 2004-V). Lorsqu'elle adopte pareille démarche, elle tient cependant dûment compte des attributions respectives des organes de la Convention : en vertu de l'article 46 § 2 de la Convention, il appartient au Comité des Ministres d'évaluer la mise en œuvre des mesures individuelles ou générales prises en exécution de l'arrêt de la Cour (voir, mutatis mutandis, Broniowski c. Pologne (règlement amiable) [GC], no 31443/96, § 42, CEDH 2005-IX).

85. Un autre but important poursuivi par la procédure d'arrêt pilote est d'inciter l'État défendeur à trouver, au niveau national, une solution aux nombreuses affaires individuelles nées du même problème structurel, donnant ainsi effet au principe de subsidiarité qui est à la base du système de la Convention (Bourdov c. Russie (no 2), no 33509/04, § 127, CEDH 2009). En effet, la Cour ne s'acquitte pas forcément au mieux de sa tâche, qui consiste selon l'article 19 de la Convention à  assurer le respect des engagements résultant pour les Hautes Parties contractantes de la (...) Convention et de ses Protocoles », en répétant les mêmes conclusions dans un grand nombre d'affaires (ibidem).

86. La procédure d'arrêt pilote a pour objet de faciliter la résolution la plus rapide et la plus effective d'un dysfonctionnement systémique affectant la protection du droit conventionnel en cause dans l'ordre juridique interne (Wolkenberg et autres c. Pologne (déc.), no 50003/99, § 34, CEDH 2007 (extraits)). Si elle doit tendre principalement au règlement de ces dysfonctionnements et à la mise en place, le cas échéant, de recours internes effectifs permettant de dénoncer les violations commises, l'action de l'État défendeur peut aussi comprendre l'adoption de solutions ad hoc telles que des règlements amiables avec les requérants ou des offres unilatérales d'indemnisation, en conformité avec les exigences de la Convention (Bourdov (no 2), précité, § 127).

2. Application en l'espèce des principes susmentionnés

a) Sur l'existence d'une situation incompatible avec la Convention appelant l'application de la procédure de l'arrêt pilote en l'espèce

87. La Cour vient de constater que la surpopulation carcérale en Italie ne concerne pas exclusivement les cas des requérants (paragraphe 54 ci-dessus). Elle relève notamment que le caractère structurel et systémique du surpeuplement carcéral en Italie ressort clairement des données statistiques indiquées plus haut ainsi que des termes de la déclaration de l'état d'urgence au niveau national proclamée par le président du Conseil des ministres italien en 2010 (paragraphes 23-29 ci-dessus).

88. L'ensemble de ces données fait apparaître que la violation du droit des requérants de bénéficier de conditions de détention adéquates n'est pas la conséquence d'incidents isolés mais tire son origine d'un problème systémique résultant d'un dysfonctionnement chronique propre au système pénitentiaire italien, qui a touché et est susceptible de toucher encore à l'avenir de nombreuses personnes (voir, mutatis mutandis, Broniowski c. Pologne, précité, § 189). Selon la Cour, la situation constatée en l'espèce est, dès lors, constitutive d'une pratique incompatible avec la Convention (Bottazzi c. Italie [GC], no 34884/97, § 22, CEDH 1999-V ; Bourdov (no 2), précité, § 135).

89. Par ailleurs, le caractère structurel du problème identifié dans les présentes affaires est confirmé par le fait que plusieurs centaines de requêtes dirigées contre l'Italie et soulevant un problème de compatibilité avec l'article 3 de la Convention des conditions de détention inadéquates liées à la surpopulation carcérale dans différentes prisons italiennes sont actuellement pendantes devant elle. Le nombre de ce type de requêtes ne cesse d'augmenter.

90. Conformément aux critères établis dans sa jurisprudence, la Cour décide d'appliquer la procédure de l'arrêt pilote en l'espèce, eu égard au nombre croissant de personnes potentiellement concernées en Italie et aux arrêts de violation auxquels les requêtes en question pourraient donner lieu (Maria Atanasiu et autres c. Roumanie, nos 30767/05 et 33800/06, §§ 217-218, 12 octobre 2010). Elle relève aussi le besoin urgent d'offrir aux personnes concernées un redressement approprié à l'échelon national (Bourdov (no 2), précité, §§ 129-130).

b) Mesures à caractère général

91. La Cour rappelle que ses arrêts ont un caractère essentiellement déclaratoire et qu'il appartient en principe à l'État défendeur de choisir, sous le contrôle du Comité des Ministres, les moyens de s'acquitter de son obligation juridique au regard de l'article 46 de la Convention (Scozzari et Giunta, précité, § 249).

92. Elle observe que l'État italien a récemment pris des mesures susceptibles de contribuer à réduire le phénomène de la surpopulation dans les établissements pénitentiaires et les conséquences de celle-ci. Elle se félicite des démarches accomplies par les autorités nationales et ne peut qu'encourager l'État italien à poursuivre ses efforts.

Néanmoins, force est de constater que, malgré les efforts à la fois législatifs et logistiques entrepris par l'Italie en 2010, le taux national de surpeuplement demeurait très élevé en avril 2012 (celui-ci étant passé de 151 % en 2010 à 148 % en 2012). Elle observe que ce bilan mitigé est d'autant plus préoccupant que le plan d'intervention d'urgence élaboré par les autorités nationales a une durée limitée dans le temps, dès lors que la fin des travaux de construction de nouveaux établissements pénitentiaires est prévue pour la fin de l'année 2012 et que les dispositions en matière d'exécution de la peine, qui ont un caractère extraordinaire, ne sont applicables que jusqu'à fin 2013 (paragraphe 27 ci-dessus).

93. La Cour est consciente que des efforts conséquents et soutenus sur le long terme sont nécessaires pour résoudre le problème structurel du surpeuplement carcéral. Toutefois, elle rappelle qu'au vu du caractère intangible du droit protégé par l'article 3 de la Convention, l'État est tenu d'organiser son système pénitentiaire de telle sorte que la dignité des détenus soit respectée (Mamedova c. Russie, no 7064/05, § 63, 1er juin 2006).

94. En particulier, lorsque l'État n'est pas en mesure de garantir à chaque détenu des conditions de détention conformes à l'article 3 de la Convention, la Cour l'encourage à agir de sorte à réduire le nombre de personnes incarcérées, notamment en appliquant davantage des mesures punitives non privatives de liberté (Norbert Sikorski, précité, § 158) et en réduisant au minimum le recours à la détention provisoire (entre autres, Ananyev et autres, précité, § 197).

À ce dernier égard, la Cour est frappée par le fait que 40 % environ des détenus dans les prisons italiennes sont des personnes mises en détention provisoire en attente d'être jugées (paragraphe 29 ci-dessus).

95. Il n'appartient pas à la Cour d'indiquer aux États des dispositions concernant leurs politiques pénales et l'organisation de leur système pénitentiaire. Ces processus soulèvent un certain nombre de questions complexes d'ordre juridique et pratique qui, en principe, dépassent la fonction judiciaire de la Cour. Néanmoins, elle souhaite rappeler dans ce contexte les recommandations du Comité des Ministres du Conseil de l'Europe invitant les États à inciter les procureurs et les juges à recourir aussi largement que possible aux mesures alternatives à la détention et à réorienter leur politique pénale vers un moindre recours à l'enfermement dans le but, entre autres, de résoudre le problème de la croissance de la population carcérale (voir, notamment, les recommandations du Comité des Ministres Rec(99)22 et Rec(2006)13).

96. En ce qui concerne la ou les voies de recours internes à adopter pour faire face au problème systémique reconnu dans la présente affaire, la Cour rappelle qu'en matière de conditions de détention, les remèdes « préventifs » et ceux de nature « compensatoire » doivent coexister de manière complémentaire. Ainsi, lorsqu'un requérant est détenu dans des conditions contraires à l'article 3 de la Convention, le meilleur redressement possible est la cessation rapide de la violation du droit à ne pas subir des traitements inhumains et dégradants. De plus, toute personne ayant subi une détention portant atteinte à sa dignité doit pouvoir obtenir une réparation pour la violation subie (Benediktov c. Russie, précité, § 29; et Ananyev et autres, précité, §§ 97-98 et 210-240).

97. La Cour observe avoir constaté que le seul recours indiqué par le gouvernement défendeur dans les présentes affaires qui était susceptible d'améliorer les conditions de détention dénoncées, à savoir la réclamation devant le juge d'application des peines en vertu des articles 35 et 69 de la loi sur l'administration pénitentiaire, est un recours qui, bien qu'accessible, n'est pas effectif en pratique, dans la mesure où il ne permet pas de mettre rapidement fin à l'incarcération dans des conditions contraires à l'article 3 de la Convention (paragraphe 55 ci-dessus). D'autre part, le Gouvernement n'a pas démontré l'existence d'un recours qui permettrait aux personnes ayant été incarcérées dans des conditions ayant porté atteinte à leur dignité d'obtenir une quelconque forme de réparation pour la violation subie. À cet égard, elle observe que la jurisprudence récente attribuant au juge de l'application des peines le pouvoir de condamner l'administration à payer une indemnisation pécuniaire est loin de constituer une pratique établie et constante des autorités nationales (paragraphes 20-22 ci-dessus).

98. La Cour n'a pas à préciser quelle serait la meilleure manière d'instaurer les voies de recours internes nécessaires (Hutten-Czapska, précité, § 239). L'Etat peut soit modifier les recours existants soit en créer de nouveaux de sorte que les violations des droits tirés de la Convention puissent être redressées de manière réellement effective (Xenides-Arestis c. Turquie, no 46347/99, § 40, 22 décembre 2005). Il lui incombe également, sous le contrôle du Comité des Ministres, de garantir que le recours ou les recours nouvellement mis en place respectent, tant en théorie qu'en pratique, les exigences de la Convention.

99. Elle en conclut que les autorités nationales doivent sans retard mettre en place un recours ou une combinaison de recours ayant des effets préventifs et compensatoires et garantissant réellement une réparation effective des violations de la Convention résultant du surpeuplement carcéral en Italie. Ce ou ces recours devront être conformes aux principes de la Convention, tels que rappelés notamment dans le présent arrêt (voir, entre autres, les paragraphes 50 et 95 ci-dessus), et être mis en place dans un délai d'un an à compter de la date à laquelle celui-ci sera devenu définitif (voir, à titre de comparaison, Xenides-Arestis, précité, § 40, et point 5 du dispositif).

c) Procédure à suivre dans les affaires similaires

100. La Cour rappelle qu'elle peut se prononcer dans l'arrêt pilote sur la procédure à suivre dans l'examen de toutes les affaires similaires (voir, mutatis mutandis, Broniowski, précité, § 198 ; et Xenides-Arestis, précité, § 50).

101. A cet égard, la Cour décide qu'en attendant que les autorités internes adoptent les mesures nécessaires sur le plan national, l'examen des requêtes non communiquées ayant pour unique objet le surpeuplement carcéral en Italie sera ajourné pendant une période d'un an à compter de la date à laquelle le présent arrêt sera devenu définitif. Réserve est faite de la faculté pour la Cour, à tout moment, de déclarer irrecevable une affaire de ce type ou de la rayer de son rôle à la suite d'un accord amiable entre les parties ou d'un règlement du litige par d'autres moyens, conformément aux articles 37 et 39 de la Convention. En revanche, pour ce qui est des requêtes déjà communiquées au gouvernement défendeur, la Cour pourra poursuivre leur examen par la voie de la procédure normale.

IV. SUR L'APPLICATION DE L'ARTICLE 41 DE LA CONVENTION

102. Aux termes de l'article 41 de la Convention,

Si la Cour déclare qu'il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d'effacer qu'imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s'il y a lieu, une satisfaction équitable.

A. Dommage

103. Les requérants réclament les sommes suivantes au titre du préjudice moral qu'ils auraient subi.

M. Torreggiani réclame 10 600 EUR pour une détention de 54 mois dans des mauvaises conditions ; M. Bamba, détenu pendant 39 mois, s'en remet à la sagesse de la Cour ; M. Biondi demande 15 000 EUR pour une détention de 24 mois ; MM. Sela, El Haili et Hajjoubi réclament 15 000 EUR chacun pour des durées respectives de 14, 39 et 16 mois ; M. Ghisoni sollicite un dédommagement à hauteur de 30 000 EUR pour une période de 17 mois.

104. Le Gouvernement s'oppose à ces demandes.

105. La Cour estime que les requérants ont subi un préjudice moral certain. Elle considère par ailleurs qu'il convient de tenir compte, afin de fixer le montant des dommages-intérêts à accorder à ce titre aux intéressés, de la durée qu'ils ont passée en détention dans de mauvaises conditions. Statuant en équité, comme le veut l'article 41 de la Convention, elle considère qu'il y a lieu d'octroyer à MM. Torreggiani, Biondi et El Haili et les sommes qu'ils demandent au titre du dommage moral. Par ailleurs, elle décide d'allouer 23 500 EUR à M. Bamba, 11 000 à M. Sela, 12 000 EUR à M. Hajjoubi et 12 500 EUR à M. Ghisoni au même titre.

B. Frais et dépens

106. Les requérants demandent également le remboursement des frais et dépens correspondant à la procédure devant la Cour. Seuls MM. Sela, El Haili, Hajjoubi et Ghisoni ont fourni des justificatifs à l'appui de leurs prétentions. Ils demandent respectivement, 16 474 EUR, 5 491 EUR, 5 491 EUR et 6 867 EUR.

107. Le Gouvernement s'oppose à ces demandes.

108. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. En l'espèce, et compte tenu des documents en sa possession et de sa jurisprudence, la Cour estime raisonnable d'accorder à MM. Sela, El Haili, Hajjoubi et Ghisoni la somme de 1 500 EUR chacun pour les frais afférents à la procédure devant elle. En revanche, la Cour décide de rejeter les demandes des autres requérants, qui avaient été autorisés à se représenter eux-mêmes devant elle, et qui n'ont produit aucune pièce justificative à l'appui de leurs prétentions.

C. Intérêts moratoires

109. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d'intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.

PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L'UNANIMITÉ,

1. Décide de joindre les requêtes ;

2. Déclare les requêtes recevables ;

3. Dit qu'il y a eu violation de l'article 3 de la Convention;

4. Dit que l'État défendeur devra, dans un délai d'un an à compter de la date à laquelle le présent arrêt sera devenu définitif en vertu de l'article 44 § 2 de la Convention, mettre en place un recours ou un ensemble de recours internes effectifs aptes à offrir un redressement adéquat et suffisant dans les cas de surpeuplement carcéral, et ce conformément aux principes de la Convention tels qu'établis dans la jurisprudence de la Cour ;

5. Dit que, en attendant l'adoption des mesures ci-dessus, la Cour ajournera, pendant une durée d'un an à compter de la date à laquelle le présent arrêt sera devenu définitif, la procédure dans toutes les affaires non encore communiquées ayant pour unique objet le surpeuplement carcéral en Italie tout en se réservant faculté, à tout moment, de déclarer irrecevable une affaire de ce type ou de la rayer du rôle à la suite d'un accord amiable entre les parties ou d'un règlement du litige par d'autres moyens, conformément aux articles 37 et 39 de la Convention;

6. Dit

a) que l'État défendeur doit verser aux requérants, dans les trois mois à compter du jour où l'arrêt sera devenu définitif conformément à l'article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes :

i) 10 600 EUR (dix mille six cents euros) à M. Torreggiani ; 23 500 EUR (vingt-trois mille cinq cent euos) à M. Bamba ; 15 000 EUR (quinze mille euros) à M. Biondi ; 11 000 EUR (onze mille euros) à M. Sela ; 15 000 EUR (quinze mille euros) à M. El Haili ; 12 000 EUR (douze mille euros) à M. Hajjoubi ; 12 500 EUR (douze mille cinq cents euros) à M. Ghisoni, plus tout montant pouvant être dû à titre d'impôt, pour dommage moral ;

ii) 1 500 EUR (mille cinq cents euros) chacun à MM. Sela, El Haili, Hajjoubi et Ghisoni, plus tout montant pouvant être dû à titre d'impôt par les requérants, pour frais et dépens;

b) qu'à compter de l'expiration dudit délai et jusqu'au versement, ces montants seront à majorer d'un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage;

7. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.

Fait en français, puis communiqué par écrit le 8 janvier 2013, en application de l'article 77 §§ 2 et 3 du règlement.

Stanley Naismith Danute Jociene

Greffier Présidente

Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l'exposé de l'opinion séparée de la juge Jociene.

D.J.

S.H.N.


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