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Inchieste

Il business dell'acqua

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOL’acqua è un bene primario, bene di prima necessità per la regolare vita dei cittadini. Essa è fonte di vita e di sostentamento per ogni popolo del pianeta… Finora risorse come l’aria e l’acqua erano ritenute “non esclusive” perché nessuno ne era proprietario se non la collettività e tutti indistintamente potevano e dovevano usufruirne.

In sostanza si riteneva che esse non fossero delle comuni merci, ma diritti fondamentali. Ma da un po’ di tempo non è più così. Se ci basiamo sul principio che l’acqua è un bene paragonabile in ogni sua forma all’aria che respiriamo, possiamo facilmente dedurre che la privatizzazione, ma soprattutto, la speculazione è un atto contro i diritti fondamentali naturali e giuridici dell’uomo.

Negli ultimi dieci anni infatti, il Governo italiano ha varato nuove normative, leggi e regolamenti sulla gestione e sulla vendita al consumatore dell’acqua. Questi indirizzi, politici ed economici, hanno maturato l’interesse dei privati ad entrare nelle aziende municipalizzate e a farne di queste, una facile e comoda fonte di speculazione e guadagno assicurato. In pochi anni infatti, i privati hanno iniziato una vera e propria politica aggressiva per la conquista delle maggiori fonti e reti di distribuzione dell’acqua, tentando fino ad oggi, di conquistarne l’interno mercato nazionale grazie anche ad interventi statali ad hoc. < Noi lo avevamo preannunciato anni fa e oggi siamo di fronte a un nuovo scandalo nazionale. Questo quanto dichiara Luca Lorenzi responsabile nazionale del movimento giovanile de La Destra - Gioventù Italiana - e leader del movimento contro la privatizzazione degli acquedotti denominato ProgettoH2o.

Da anni combattiamo contro la privatizzazione di un bene pubblico come l'acqua e da anni stiamo assistendo a una lenta ma inesorabile svendita attuata dalle istituzioni nei confronti dei privati dei diritti di gestione delle acque nazionali.

Questa svendita si sta attuando attraverso un accordo tra centro destra e centro sinistra che attraverso decreti ministeriali o attraverso i lavori delle commissioni parlamentari non perdono occasione per svendere l'interesse nazionale e i diritti dei cittadini in favore di una casta imprenditoriale che sta lucrando sulla tasche di noi italiani. Già mesi fa annunciammo che il Governo Berlusconi aveva privatizzato gli acquedotti con un decreto fantasma passato inosservato da media e forze politiche.

Oggi invece è la commissione ambiente del Senato che fa un regalo di svariati milioni di euro ai gestori privati dell'acqua>>. Questa volta si parla dei conguagli retroattivi sulla depurazione delle acque scure. Per una Regione come la Toscana i dati sono allarmanti si parla di importi che vanno da 70 euro a 850 euro a famiglia per un conguaglio che serve solamente a far cassa a chi è riuscito a metter le mani sulla gestione delle risorse idriche. Il conguaglio è un principio illegittimo che investe tutti gli utenti del servizio, sul quale il Consiglio di Stato si è già pronunciato stabilendo l'irretroattività di provvedimenti amministrativi.

E sulle fatture di conguaglio, oltre alla retroattività, il Difensore civico della Regione Toscana ha riscontrato altre illegittimità, infatti non viene fornita alcuna spiegazione sull'ammontare dell'importo. Oltre l'illegittimità dei conguagli retroattivi questi sono stati applicati anche alle utenze non allacciate alla rete fognaria e alle utenze residenti in Comuni dove non esiste un sistema di depurazione o il sistema di depurazione non è funzionante. Molti cittadini italiani secondo i gestori dovrebbero pagare un conguaglio elevato per un servizio che non hanno mai ricevuto.

A tal proposito possiamo riportare l'intervento della sentenza della Corte Costituzionale n 335 del 10 ottobre 2008 che ha dichiarato "Non dovuto il pagamento del canone di depurazione per gli utenti non allacciati".

A seguito di queste evidenti irregolarità e di queste sentenze anche l'Assessore regionale Toscano Marco Betti ha fatto marcia indietro sui circa 20 milioni di euro pretesi ingiustamente dall'azienda che gestisce il servizio idrico dai cittadini. Ma a questo punto arriva il regalo della commissione del Senato ai gestori dei servizi idrici, infatti il Senato ha decretato che siano legittime le richieste di conguaglio laddove non solo esiste il servizio di depurazione ma anche in quei comuni dove sia presente solamente il "progetto" di un sistema di depurazione.

Possiamo parlare di un furto legalizzato mirato esclusivamente al mantenimento di interessi di parte contro il diritto dei cittadini ad avere servizi pubblici. Con questo balzello del Senato si pretenderà che gli italiani paghino una tassa retroattiva per un servizio che, forse un giorno, avranno.

 

 

Carmen Langellotto


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Si specula sui parcometri?

Percorrendo intorno alle 22 le strade del centro di Roma, nella zona che dal quartiere Prati abbraccia tutto il centro Storico fino alle mura Pinciane ed i cui confini si estendono anche alla zona di Trastevere e del Celio, capita di vedere spesso degli individui con indosso divise catarifrangenti che, lasciano presagire agli ignari passanti chissà quale improvviso blocco della circolazione od addirittura incidente stradale… niente di tutto questo, in realtà, sono solo gli ausiliari del traffico intenti a controllare se le autovetture in sosta siano prive del titolo di parcheggio relativo ai parcometri che, in alcune zone, sono attivi sino alle 23. Naturalmente il parcheggio a pagamento all’interno delle strisce blu può anche essere stata un’ottima iniziativa degli Enti locali per cercare di gestire l’emergenza traffico con parcheggio a numero chiuso e dietro corrispettivo; in aree particolarmente congestionate, come il centro storico questo sistema ha avuto l’indubbio effetto di ridurre il flusso veicolare, di indurre i cittadini ed i visitatori all’utilizzo del mezzo pubblico e doveva costituire una non trascurabile fonte di entrate per le casse comunali.

I benefici ipotizzati, che certamente afferiscono a quel generale concetto di “interesse generale” per conseguire il quale ben può essere limitata la libertà del singolo, finiscono tuttavia con il rasentare se non addirittura concretizzare un’ipotesi di abuso nella misura in cui le su descritte finalità vengono a mancare per lasciare il posto ad una mera speculazione.

Il problema nasce allorché viene esteso il limite temporale per il vigore del parcheggio a pagamento in orari in cui esigenze specifiche legate al traffico ed alla viabilità non esistono, con il solo risultato di volere oltremodo lucrare sul tempo libero del cittadino.

Nell’area descritta infatti le strisce blu sono operative fino alle 23:00, ovvero per oltre tre ore e mezzo dalla chiusura degli esercizi commerciali e ben cinque da quella degli uffici pubblici; se tali fattori, come anticipato, generando un flusso abnorme di automobili presso il centro, giustificano in qualche modo il parcheggio a pagamento, che senso ha mantenerne il vigore anche quando non sono più incisivi o quando le zone a cui si riferiscono sono in quelle ore deserte? Il cittadino come anche l’avventore, che vuole magari concedersi una serata di relax vede ingiustamente tassato questo divertimento con il pedaggio del parcheggio non giustificato da esigenze di traffico o difficoltà di parcheggio. Può l’incolpevole quisque de populo dovere mettere in conto che per parcheggiare in Prati o nel Lungotevere adiacente dovrà pagare il parcheggio senza provare un senso di frustrazione per un’ingiustificata ingerenza economica nelle proprie private scelte di vita? Parliamo inoltre di aree confinanti con la ben nota ZTL che addirittura impedisce il transito al veicolo privato cosicché non solo il cittadino al centro di Roma può giungere solo a piedi o con i mezzi pubblici (scelta, come detto apprezzabile nelle ore di punta), ma una volta che si trova nelle immediate vicinanze deve pagare il parcheggio perché soggetto alle aree di sosta a pagamento.

L’illegittimità del provvedimento che autorizza il parcometro anche nelle fasce orarie tardo serali/notturne merita certamente di essere azionato nelle competenti sedi legali, affinché la libera estrinsecazione della personalità del singolo, tradotta nei diversi modi con cui questi può trascorrere liberamente il tempo libero con le iniziative culturali, turistiche di spettacolo che nel centro di Roma vengono quotidianamente proposte, possa trovare nuovo vigore, nella speranza, peraltro mai sopita, che nel frattempo il Campidoglio possa riorganizzare con modalità più congrue la sosta nelle aree blu. Sappiamo che la normativa in vigore pone a carico dell’Ente territoriale una percentualizzazione dei parcheggi a pagamento rispetto a quelli liberi. Ma la legge non viene applicata, ovvero, viene applicata tenendo conto dell’intero territorio comunale e non, come dovrebbe essere, nella singola circoscrizione.

 

William Giuliotti*

Collaboratore dello Studio Legale Catalisano


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Il sistema carceri secondo Angelino Alfano

Il Guardasigilli detta il piano straordinario.

L’esecuzione della pena rappresenta certamente una fase centrale dell’amministrazione della giustizia, in cui si possono misurare il grado di civiltà di un paese (volendo usare una consumata citazione di Voltaire) e il livello di efficienza del suo apparato amministrativo. In questo senso l’attuale situazione delle carceri italiane appare neppure lontanamente capace di realizzare quei principi di certezza, proporzionalità e finalità rieducativa della pena fissati dagli articoli 25 e 27 della Costituzione. Anzi alla luce dell’attuale condizione di sovraffollamento delle carceri, sembrerebbe più pertinente il richiamo a precetti altrettanto fondamentali quali il divieto di trattamenti crudeli, disumani o degradanti, o il divieto della tortura, presenti indirettamente nel disposto dell’art. 13 Cost. ma che il nostro paese si è obbligato a rispettare esplicitamente aderendo alla Convenzione di New York del 10 dicembre 1984, e che appaiono come condizioni preliminari e/o pregiudiziali alla realizzazione di quelle che sono le finalità della pena secondo la Carta costituzionale. Venuti meno gli effetti dell’indulto varato tre anni fa, soluzione che ha rappresentato un infelice palliativo ai problemi di sovraffollamento delle carceri, si è tornati sostanzialmente al punto di partenza, come dimostrano l’incremento delle aggressioni alle guardie carcerarie, i rumorosi scioperi della fame e della sete inscenati da parte della popolazione carceraria e le fosche previsioni per l’imminente arrivo dell’estate. Per dare un’idea delle dimensioni del problema basti pensare che attualmente sono 62.473 i posti occupati contro un limite regolamentare di 43.201 e una tollerabilità di 63.702 detenuti. Sono queste le ragioni che hanno spinto l’attuale governo a dare impulso alla creazione di un piano straordinario delle carceri che avesse come immediato effetto, innanzi tutto, l’aumento della capacità ricettiva delle carceri italiane.

Non va trascurato tra l’altro che determinati indirizzi dell’esecutivo e la politica criminale adottata in questi anni dal legislatore, vanno nella direzione di una impennata delle fattispecie criminali previste dalla legge, come in materia di immigrazione o di stupefacenti, con la possibilità quindi di prevedere verosimilmente un ulteriore aumento della popolazione carceraria negli anni a venire.

Pertanto il c.d. decreto milleproroghe e la legge di conversione del 28 febbraio 2009 n. 14, hanno previsto il conferimento di poteri straordinari al capo del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, cui è stato chiesto di elaborare nel termine di 60 giorni un Piano straordinario delle carceri che è stato presentato al Ministro Alfano agli inizi di maggio, rispettando i tempi previsti, e che ora dovrà essere realizzato attraverso una concreta iniezione di soldi.

La relazione illustrativa del Piano carceri descrive due direzioni di intervento: da una parte l’ampliamento delle strutture già esistenti, in particolare di quelle costruite più di recente e meno malmesse, da realizzarsi nell’ambito dei piani di manutenzione straordinaria del patrimonio edilizio esistente, ad opera del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

Dall’altra parte, la realizzazione di interventi di costruzione di nuove strutture carcerarie, di competenza del Ministero delle Infrastrutture salvi i poteri straordinari di impulso, controllo e monitoraggio del Commissario, a cui vengono riconosciuti anche poteri sostitutivi per risolvere situazioni di impasse. Si tratta di un totale di 46 nuovi padiglioni in ampliamento a strutture già esistenti e 22 nuovi istituti penitenziari, con la precisazione che gli interventi di ampliamento sono in parte già iniziati e richiederanno tempi e risorse tutto sommato preventivabili (ad esempio sono già in fase avanzata le opere di ampliamento del carcere di Milano Bollate e Roma Rebibbia), mentre maggiori saranno le difficoltà attuative relativamente ai nuovi penitenziari. Sul punto la relazione illustrativa sottolinea che l’obiettivo che ci si prefigge non è quello di un semplice intervento emergenziale, ma di un grande progetto di rinnovamento delle strutture che terrà conto di "soluzioni alternative" a quelle fino ad ora adottate, anche attraverso "strutture modulari", più economiche nella manutenzione-gestione oltre che più rapide da costruire, nonché "la previsione di strutture penitenziarie 'galleggianti'. In pratica secondo le linee guida del piano, l'Italia si adeguerà a soluzioni già sperimentate con successo in altri paesi come gli Stati Uniti (la prima chiatta-prigione fu ormeggiata a New York nell'89, lungo il fiume Hudson), la Gran Bretagna (la nave-prigione 'Weare' è stata ancorata dal 1997 al 2005 nella baia di Porland, in Dorset), e più recentemente l'Olanda. Nelle varie occasioni in cui il Ministro Angelino Alfano è intervenuto ad anticipare i contenuti del piano alla stampa, non ha mancato di sottolineare, infatti, la necessità di diversificare le strutture carcerarie anche in funzione della diversa pericolosità sociale dei ristretti, immaginando che non per tutti ricorrono le esigenze di sicurezza previste ad esempio per i condannati per mafia e terrorismo detenuti sotto il regime del 41 bis legge 26 luglio 1975, n. 354. E dunque le predette strutture modulari, in grado di realizzare economie di scala nella gestione e manutenzione, possono porsi secondo la relazione illustrativa del piano carceri, come un nuovo modello di custodia per i soggetti di minore pericolosità, unitamente alle strutture galleggianti. Per quanto riguarda l’individuazione delle aree interessate agli interventi, la relazione sottolinea che i maggiori problemi di affollamento sussistono nelle grandi aree metropolitane dove si concentrano anche gli interessi della criminalità. Così gli investimenti più imponenti riguardano le aree di Roma, Milano e Nola dove è prevista la creazione di tre nuovi istituti penitenziari da mille posti ciascuno, per una spesa di 130 milioni di euro per ogni intervento, mentre in Sicilia sono previsti due nuovi carceri a Catania e Sciacca per un totale di mille nuovi posti e un costo di 150 milioni. Due rimangono i nodi da sciogliere prima di passare alla fase attuativa del Piano: il reperimento dei fondi necessari e si parla di circa un miliardo e mezzo di pubbliche risorse, ma, sottolinea sempre la relazione illustrativa, non bisogna dimenticare anche l’adeguamento degli organici della Polizia Penitenziaria che, già sottodimensionati, si ritroveranno a dover garantire la sicurezza di queste nuove strutture. Ai fini del finanziamento è prevista la possibilità di attingere ai fondi della Cassa delle Ammende per finanziare opere non limitate al rispetto della sola sicurezza dei detenuti ma anche al trattamento personalizzato dei ristretti, finalizzato al loro reinserimento sociale. Atal fine, per queste opere la relazione ipotizza l’impiego dei detenuti come manodopera, seppure soltanto per "interventi edilizi complementari" (ad esempio imbiancare le pareti, abbattere un muro, trasportare le brande etc). Ma tra i possibili strumenti di finanziamento c’è anche il ricorso ai privati che ha chiarito il Ministro Alfano potranno essere coinvolti nelle opere di costruzione, ma non ovviamente nella gestione delle carceri. In questo senso recentemente si è dato conto di un incontro svoltosi fra Alfano, Ionta, il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e il presidente dell’associazione nazionale dei costruttori edili Paolo Buzzetti.

Una riunione che, ha spiegato l’ufficio stampa di via Arenula, è servita alla costituzione di un «gruppo di lavoro che curerà la fase di realizzazione del piano carceri predisponendo gli strumenti contrattuali che saranno utilizzati per i diversi tipi di gara». In conclusione il piano ipotizza la realizzazione complessiva, al massimo entro dicembre 2012 di 17.129 nuovi posti letto, ma l’auspicio è che venga valorizzata e implementata la parte più innovativa del progetto relativa ad un nuovo modello di custodia che garantisca trattamenti personalizzati in funzione della diversa pericolosità sociale dei ristretti e riduca la pena detentiva in carcere alle sole fattispecie di reato che meritano per la loro gravità tale risposta sanzionatoria.

(Il testo integrale del Piano Carceri è disponibile su seguente link http://www.ristretti. it/commenti/2009/m aggio/pdf13/piano_carceri. pdf ).

 


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Indagine sulla corruzione

Il 20 ottobre 2004 è stato pubblicato l’Indice di Percezione della Corruzione (CPI) 2004 (i dettagli sono disponibili sul sito www.transparency.it), elaborato per 146 Nazioni dall’Università di Passau su incarico di Transparency International.

 

 

Si tratta di un Indice composito – ottenuto sulla base di varie interviste/ricerche somministrate ad esperti del mondo degli affari e a prestigiose istituzioni – che misura la percezione della diffusione della corruzione nel settore pubblico e nella politica.

Il CPI definisce la corruzione come «l’abuso del pubblico ufficio per guadagno personale», senza distinguere tra corruzione attiva e passiva e tra corruzione e concussione, accogliendo un’accezione del reato di corruzione più internazionale e necessariamente meno sofisticata rispetto al diritto italiano.

Le ricerche sulla base delle quali è stilato l’Indice indagano, in particolare, sulla percezione della diffusione della corruzione nei contratti pubblici, misurando la propensione del settore pubblico a chiedere o ricevere tangenti dal settore privato.

Secondo i dati di TI, le tangenti pagate nel mondo ogni anno al settore pubblico ammonterebbero a 400 miliardi di dollari. La Banca Mondiale, indicando la corruzione come «il principale ostacolo allo sviluppo economico e sociale» di un Paese, stima che la tangenti pagate in tutti i settori ogni anno (oltre mille miliardi di dollari) rappresentino quasi il 3% del prodotto nazionale lordo mondiale.

L’Italia quest’anno si colloca al 42esimo posto. Il voto ricevuto dal nostro Paese – 4,8 su 10 – mette in evidenza una situazione di criticità delle pubbliche istituzioni, in termini di autorevolezza, capacità gestionale, efficienza, immagine.

Tale situazione è, peraltro, confermata dai dati ottenuti con il Barometro di Percezione della Corruzione, un ulteriore strumento di misurazione, ideato da Transparency International in collaborazione con Gallup International.

Diversamente dal CPI, che indaga tra esperti del settore e analisti, il Barometro si rivolge direttamente ai cittadini proponendo una serie di domande per verificare la sensibilità degli stessi verso il fenomeno.

A 30.487 persone intervistate in 44 nazioni è stato chiesto da quale settore, potendo, eliminerebbero la corruzione.

In tre Paesi su quattro, i partiti politici sono indicati come i più corrotti, subito seguiti dai Tribunali e dalle Forze di Polizia. Se i cittadini avessero una bacchetta magica, con ogni probabilità eliminerebbero la corruzione dai partiti politici.

Questo è particolarmente evidente in Argentina (58.2%) e Giappone (51.9), ma il dato è forte anche nei Paesi considerati più virtuosi dal CPI, come il Canada (39,7%) e la Finlandia (38%). In quest’ultimo Paese, considerato dal CPI 2004 il più virtuoso, il 27,7% degli intervistati giudica i propri Tribunali estremamente corrotti.

In Italia, i risultati ottenuti confermano l’allarme pubblica amministrazione lanciato dal CPI 2004. I cittadini italiani considerano come più corrotti i partiti politici (29%) e la magistratura (18%), subito seguita dal settore sanitario (15%). Si salva, invece, con una percentuale estremamente positiva, il sistema dell'impresa privata (1,3%).

Emergono, dunque, evidenti criticità proprio nel rapporto con quelle Istituzioni chieche maggiormente dovrebbero rappresentare e tutelare gli interessi della collettività.

Oltre alla fiducia riposta nel nuovo ufficio dell’Alto Commissario per la Prevenzione ed il Contrasto della Corruzione e delle altre Forme di Illecito all’interno della Pubblica Amministrazione – che, qualora incarni i richiesti requisiti di indipendenza, integrità, competenza, confidiamo sarà determinante nel contrastare la corruzione a livello nazionale e nel diffondere una cultura di etica e trasparenza nella PA – Transparency International Italia richiede verifiche più attente interne ed esterne alle Istituzioni pubbliche, ai Sindacati e agli organi di controllo, quali la Corte dei Conti.

Contemporaneamente occorre insistere sulla formazione etica di dipendenti ed amministratori pubblici, nonché sull’adozione di sistemi di integrità condivisi.

 

Anna Marra* 

Avvocato, Project Officer TI-IT


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La meritocrazia del consenso

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOIl Censis segnala che nel 2006 gli avvocati erano 158.000, contro 183.044 ingegneri ed addirittura 377.726 medici. Se il trend fosse confermato negli ultimi due anni, gli avvocati sarebbero meno degli ingegneri e meno della metà dei medici.

Ogni anno entrano nel mercato della professione più di 10.000 nuovi avvocati.

Nel periodo 2001-2005 si è registrato un tasso di crescita pari a +29,3%, con effetti negativi sulle prospettive di lavoro, considerando anche la concorrenza di altri operatori del diritto: agenzie immobiliari, patronati, sindacati, commercialisti, notai, consulenti del lavoro, associazioni dei consumatori, amministratori di condominio, periti di infortunistica, agenti vari ed altri soggetti non meglio qualificati.

Attualmente, il numero degli Avvocati è salito in Italia a circa 220.000, di cui iscritti all’albo dell’Ordine di Roma circa 22.000: una semplice somma senza alcun potere, neppure quello di poter contare nel dibattito sulla giustizia.

La responsabilità di questi numeri ci impone iniziative coraggiose. Da molto tempo si rinnova l’appello di trovare un comune denominatore in forme di grande aggregazione per mettere in moto masse enormi di popolo forense.

sultato”, considerato il (mal)funzionamento dell' Amministrazione della Giustizia.

Moltiplicare gli appelli, le denunce dei disagi e delle carenze è sicuramente utile quanto opportuno, ma il primo obiettivo deve essere quello di unirci e di riunire non per omologare l’autonomia del singolo professionista, le diversità e le individualità collettive che ognuno legittimamente rappresenta, ma per accrescere il peso e la forza dei nostri valori, che l’Avvocatura rinnova nel tempo con inflessibile determinazione.

Quando, insieme alle proposte, alle iniziative dei singoli e dei gruppi figurerà una numerosa presenza fisica di avvocati, allora si potrà tentare di porre fine all’inarrestabile fallimento del sistema giustizia, cambierà l’acustica delle buone intenzioni, delle cure generiche e l’avvocatura conterà per quello che vale e che può dare alla soluzione dei problemi con una partecipazione attiva e convinta. Tutti abbiamo conoscenza che il nostro paese soffre il peso di due grandi impedimenti alla crescita e allo sviluppo: il debito pubblico e i 10 milioni di processi pendenti, con 20 milioni di cittadini in attesa di una risposta dalla Giustizia. Bisogna prendere coscienza che nelle società democratiche, pluraliste, parlamentari non sono sufficienti le buone idee, la prospettazione di soluzioni intelligenti, ma è necessario avere una categoria compatta e sviluppare il consenso, accrescere le adesioni, per porre fine alla notte della giustizia e portare gli avvocati oltre l’orizzonte. Solo coloro che sapranno conquistare il consenso degli avvocati, potranno legittimamente rappresentarli.

Esiste un DNA tardivo dell’avvocato che si forma dopo la nascita, quando si diventa gente di tribunale, quando si subisce il fascino di questa professione millenaria.

Molti ripetono che occorre abbattere gli steccati, le futili differenze, le inutili contrapposizioni, e bisogna ammettere che, nonostante il lodevole impegno delle nostre associazioni, dei singoli colleghi, impegnati sul fronte della “Giustizia”, la nostra forza non c’é. Paradossalmente siamo numerosi ed il nostro peso specifico è quasi pari a zero.

Per questo, senza voler apparire originale, ho dato impulso, insieme ad alcune autorevoli associazioni e ad alcuni consistenti gruppi di colleghi, alla nascente costituzione della Federazione Avvocati Italiani (F.A.I.), per cassare dal dialogo dei professionisti del diritto i verbi delegare, rinunciare, aspettare, sperare. Giovani e meno giovani sanno che siamo tra le poche categorie che operano in regime di diseconomia “massimo sforzo minimo risultato”, considerato il (mal)funzionamento della “Amministrazione della Giustizia.

Moltiplicare gli appelli, le denunce dei disagi e delle carenze è sicuramente utile quanto opportuno, ma il primo obiettivo deve essere quello di unirci e di riunire non per omologare l’autonomia del singolo professionista, le diversità e le individualità collettive che ognuno legittimamente rappresenta, ma per accrescere il peso e la forza dei nostri valori, che l’Avvocatura rinnova nel tempo con inflessibile determinazione.

Quando, insieme alle proposte, alle iniziative dei singoli e dei gruppi figurerà una numerosa presenza fisica di avvocati, allora si potrà tentare di porre fine all’inarrestabile fallimento del sistema giustizia, cambierà l’acustica delle buone intenzioni, delle cure generiche e l’avvocatura conterà per quello che vale e che può dare alla soluzione dei problemi con una partecipazione attiva e convinta. Tutti abbiamo conoscenza che il nostro paese soffre il peso di due grandi impedimenti alla crescita e allo sviluppo: il debito pubblico e i 10 milioni di processi pendenti, con 20 milioni di cittadini in attesa di una risposta dalla Giustizia. Bisogna prendere coscienza che nelle società democratiche, pluraliste, parlamentari non sono sufficienti le buone idee, la prospettazione di soluzioni intelligenti, ma è necessario avere una categoria compatta e sviluppare il consenso, accrescere le adesioni, per porre fine alla notte della giustizia e portare gli avvocati oltre l’orizzonte. Solo coloro che sapranno conquistare il consenso degli avvocati, potranno legittimamente rappresentarli.

 

 

Carlo Priolo* 

Avvocato del Foro di Roma


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Immagini da In-giustizia 

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404

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