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Da Piazzale Appio a Piazzale Clodio

Qualche temAntonio Conte po fa, tra il 1960 e il 1970, quando ricopriva l’incarico di procuratore generale della Corte di Appello di Roma il Dr. Luigi Giannantonio, assistemmo ad una vera e propria politica giudiziaria nei confronti della pubblica amministrazione, se pur meritevole negli intenti dell’alto magistrato per la buona amministrazione del pubblico denaro, sicuramente discutibile nelle singole iniziative penali. La Magistratura, usando l’arma dell’incriminazione, ritenne di controllare la spesa pubblica, sostituendosi al Parlamento e alla Corte dei Conti. La campagna giudiziaria per la moralizzazione della vita pubblica, pur meritoria negli intenti, suscitò consensi ed elogi, ma questa legittima azione giudiziaria comportò che alcuni magistrati si ritenessero investiti di una missione che li spinse a debordare dal perimetro della funzione giurisdizionale ed in alcuni casi a tracimare dai confini della specifica competenza, con la corsa all’emulazione dei pubblici ministeri ad incriminare politici e amministratori pubblici di vario livello,con esiti di ripetute assoluzioni in dibattimento e riduzioni per qualità ed entità delle condanne.

L’effetto collaterale non produsse la purificazione del malgoverno e, paradossalmente, suscitò nell’immaginario collettivo l’opinione di impro prio profilo dei protagonisti dell’azione inquirente,

con criticabili forzature, dolose disattenzioni. Si può ricordare il caso Marotta e Ippolito, la pacata e nobile voce di Arturo Carlo Jemolo sullo sperpero del pubblico denaro da parte del giudice penale, le critiche di autorevoli giuristi, come Giuseppe De Luca e Antonio Chiavelli e le posizioni di Calamandrei sulla questione della obbligatorietà dell’azione penale.

E’ difficile accettare che ad ogni accenno di revisione del principio della obbligatorietà dell’azione penale, dell’assetto del pubblico ministero e della funzione di accusa, si chiami in causa l’indipendenza della Magistratura urlano all’attentato, al pericolo per la democrazia, al decesso dello Stato di diritto. Il suggestivo richiamo al principio costituzionale dell’esercizio obbligatorio dell’azione penale verrebbe vulnerato dal c.d. principio di opportunità dell’azione penale, facendo soggiacere il potere-dovere di intervento del pubblico ministero al capriccio di maggioranze parlamentari o ad influenze di governi.

Se tutti i crimini non possono essere efficacemente perseguiti, si vanifica il principio dell’uguaglianza del cittadino di fronte alla legge, in quanto il magistrato volontariamente dovrà decidere quale indagine compiere. Infatti, le statistiche ufficiali registrano che solo il 10% delle ipotesi di reato vengono perseguite. Assistiamo ad un certo integralismo giudiziario, contrario ad affrontare alcune proposte di riforma, mentre è facile rispondere con la vecchia proposta Calamandrei, o tutte le successive, da Pizzorusso agli altri che intendono riportare l’organo dell’ufficio del pubblico ministero al suo ruolo costituzionale e processuale di parte del processo e non di arbitro insindacabile e isolato dell’iniziativa penale,in totale latitanza di producesti misure in ordine alla responsabilità, civile e disciplinare, per gli atti compiuti in pregiudizio dei principi di imparzialità ed indipendenza della funzione, come pure sul mancato riserbo dell’indagine, delle garanzie dell’indagato. Ricordare il libro “La repubblica dei procuratori” del compianto Guglielmo Negri o “I Giudici e la politica” di Achille Battaglia, il calvario giudiziario di Luttazzi, il caso Sarcinelli, da Elena Massa agli avvocati sardi del caso Emanuella, è la riprova che si incarcera spesso con facilità e con leggerezza senza alcuna conseguenza per chi ha l’immenso potere di decidere misure coercitive della libertà personale del cittadino. Di fronte alla grande schiera di giudici che operano quotidianamente con riserbo e dedizione occorre porre un freno a quelle pattuglie agguerrite ed improvvide di minoranze, specialmente di quelli che tracimano in Parlamento, che possono delegittimare l’intero corpo della Magistratura.

Si può ancora ricordare il VI convegno nazionale del 1969 sul tema della “preparazione, scelta e formazione del giudice e dell’avvocato” che seguiva quello del 1966 “natura e funzioni del pubblico ministero lineamenti per una riforma” (Maranini, Conso, Leone, Fazzalari, Pisapia, Pizzorusso, Scardia, Rosso, Sabatini, Giallombardo, Madia, Mazurca, D’Ovidio), vivamente osteggiata dalla Magistratura. Per finire con la contestata riforma dell’Ordinamento giudiziario, di matrice c.d. fascista, che è rimasto in vigore per ben 64 anni dal 1941 al 2005.

Come pure l’uso della custodia cautelare a scopo esemplare senza alcuna reale esigenza processuale, segnatamente la cattura dell’attore Bramieri implicato in un sinistro stradale, con evento di omicidio colposo (non era ubriaco), le censure nei confronti prima degli eversori dell’ordine costituito, sesso e religione, poi nei confronti di grandi artisti italiani Pasolini (La ricotta), Benigni e di grandi benefattori sociali, processo Muccioli.

L’autonomia e l’indipendenza della Magistratura, che nessuno ragionevolmente mette in discussione, potrebbe tradursi in una posizione egemonica del “potere” dei Magistrati, in particolare delle loro istituzioni.

Al convegno di Siracusa del 1983 sui rapporti tra giustizia e informazione Alfonso Madeo sottolineò tendenze della Magistratura italiana verso l’egemonia, con segnali di insofferenza verso il diritto dovere dell’informazione. La Magistratura si ritiene investita della missione di salvare la Repubblica, ultimo baluardo dello Stato di diritto.

L’amministrazione della giustizia in nome del popolo e la soggezione dei giudici solo alla legge, secondo l’art. 101 della Costituzione, non può legittimare interpretazioni estensive dei ruoli e degli indirizzi. Non appaiono previsti alcuna delega impropria di funzioni di supplenza né alcun rapporto esoterico o ermetico con la volontà della legge.

Da autorevoli giuristi è stato sottolineato che i simulacri dell’indipendenza della Magistratura e della obbligatorietà dell’azione penale si possono tradurre in un forte potere discrezionale.

Una coazione a ripetere nel segno dell’infallibilità, dell’indipendenza, della totale abnegazione al proprio dovere, nel rispetto della consegna del silenzio sulle vicende passate e recenti del mondo della Magistratura non servono per attenuare inevitabili errori, sentenze sorprendenti, giudizi imbarazzanti che investono anche l’ambito dei processi civili spesso dimenticati di fronte all’allarme più penetrante di quelli penali.

Per riformare la “Giustizia” occorrono anche conoscenze importanti e fondamentali, referenti scientifici, quali la teoria del sistemi, la macroeconomia, la statistica descrittiva e l’econometria, la sociologia del diritto, la teoria e tecnica della ricerca sociale e analisi dell’organizzazione.

Come ha sostenuto la Dott.ssa Boccassini, troppo protagonismo mai una autocritica. Guardare dentro le proprie istituzioni, con spirito critico, con intelligenza indipendente, liberandosi con fatica della malattia professionale, che fatalmente ci travolge, è il compito più difficile che dobbiamo compiere, con professionalità, rigore, correttezza, conoscenza della realtà.

Le decisioni dei Giudici sono insindacabili sul piano tecnico, ma la trasparenza, la legalità, l’adempimento del proprio dovere possono essere dichiarati solo accettando i controlli, le ispezioni, le critiche, le analisi ed anche le accuse. Solo le corporazioni si chiudono all’invadenza del diritto di critica, della dialettica, del confronto. Il Magistrato applica la legge, ma può anche non applicarla o applicarla erroneamente.

Lasciare che si possa giudicare il proprio operato, il proprio compito è l’indicatore privilegiato della propria buona fede, della consapevolezza di avere agito con diligenza e competenza.

Pur se legittima può apparire la difesa contro la separazione delle carriere, la abolizione della progressione automatica, la delegittimazione della Magistratura, non può essere disatteso l’impegno a rimuovere il volto opaco della Giustizia, a ristabilire la fiducia dei cittadini in una Giustizia sfigurata, polverizzata, azzerata da decenni di fallimenti, di inutili convegni, dibattiti, relazioni, documenti, programmi.

Anche se la Magistratura per la sua storia ed il suo ruolo è chiamata a difendere la propria indipendenza ed autonomia, l’obbligatorietà dell’azione penale, stigmatizzando gli attacchi che subiscono i magistrati, unico presidio dello Stato di diritto, non può tacersi che i magistrati capaci lo sono per virtù propria, perché tali sarebbero in ogni campo, come lo sono quelli incapaci, per impreparazione o inettitudine.

Al pubblico non interessano i santuari intoccabili della Magistratura, le interne vicende della istituzione giudiziaria, la passione delle correnti, le scalate per gli incarichi. Il Paese vorrebbe vedere gli operatori della Giustizia tutti i giorni in prima linea per organizzare una amministrazione della giustizia efficace, efficiente, giusta. 10 milioni di processi (penali e civili) pendenti, ancora da celebrare, è un indicatore così forte che invita tutti al silenzio e chiama tutti a fare.

 

Antonio Conte


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Rodolfo Capozzi InGIUSTIZIA la PAROLA al POPOLO”, è un periodico indipendente diretto dal vulcanico collega Romolo Reboa. Non si occupa solo di problemi inerenti alla Giustizia civile, penale ed amministrativa ma anche e soprattutto di politica, oltre alle ingiustizie che occorrono al popolo, alla gente, al cittadino. L’argomento può essere indigesto o irritante, ma è importante e chi la ignora è il primo a patirne le conseguenze quando è “cattiva”, corrotta, forse solo in crisi. Il Direttore Reboa vi dedica alcuni dei suoi editoriali senza infingimenti, senza preconcetti e senza peli sulla lingua. Fra quelli del 2009 ho apprezzato “Emergenza democratica”, per le elezioni europee, dove «la politica, con le europee fa credere che esista ancora la possibilità di scegliere i propri rappresentanti» e definisce quello nostrano come «un sistema politico a liste bloccate, nel quale le segreterie dei partiti hanno il potere di scegliere i candidati» con la conseguenza che il «Parlamento non è più l’organo rappresentativo del popolo, bensì un organo legislativo dove, per volontà popolare, un gruppo di nominati dall’alto è in maggioranza rispetto ad un altro…». Nel 2009 l’argomento principale furono le abitudini sessuali del Presidente del Consiglio, culminate con un interrogatorio da parte di un prestigioso quotidiano nazionale, con le famose dieci domande. Per parlare della crisi della politica partirei dall’astensione dell’eletto rato italiano, fino al 1976 la partecipazione era sopra il 90%, per declinare senza sosta. I sondaggi dicono che oggi il 40% degli elettori non si recherebbe ai seggi. Il profilo socio-demografico di coloro che disdegnano la “gabina” elettorale indica che a farne le spese è la sinistra, specie radicale, che non ha alcuna rappresentanza. L’astensionismo cresce anche nelle regioni più ricche del nord (dal 84,6% al 75,1% poi al 64,7% delle regionali di quest’anno).

Fenomeni scoraggianti sono quelli come Beppe Grillo e il popolo viola, oltre l’ingrossamento dell’ultra destra e ultra sinistra. E allora bisogna concentrarsi sulle cause del problema. Il Presidente Gianfranco Fini, nel suo discorso di Mirabello, che ha sancito lo strappo con il PdL, si è detto convinto che occorra dare «risposte alle tante donne e ai tanti uomini che nemmeno leggono più le pagine della politica, che nutrono fastidio per telegiornali e giornali che sembrano essere fotocopie», preso atto che «nel Paese sta crescendo il distacco nei confronti della politica». Fini ha trascorso l’estate intera a commentare la vicenda di una casetta “sgarrupata” in quel di Montecarlo, scandalo confezionato su misura dai giornali della famiglia Berlusconi o al premier assai vicini ma che non si occupano invece della condanna in secondo grado per concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso per un autorevole esponente del PdL, già collaboratore e amico personale del Presidente del Consiglio, delle accuse gravissime – sempre afferenti all’art. 416 bis c.p. e dintorni - mosse a un ex sottosegretario di Stato e attualmente coordinatore regionale della Campania del PdL, ed a quelle – diverse ma altrettanto imbarazzanti – mosse a uno dei tre coordinatori dello stesso partito fondato da Berlusconi e Fini. Questo sia a destra che a sinistra, in alto e in basso. La crisi della politica è diffusa e bipartisan, ma ha precisi nomi, cognomi, numeri di procedimento penale e poi sentenze di condanna divenute irrevocabili con forza esecutiva. Quando anche un ex Primo Presidente della Corte di Cassazione viene accusato di corruzione, quando lo I.O.R. viene nuovamente indagata per riciclaggio (come ai bei tempi di Marcinkus, Calvi & Sindona) vuol dire che nel Paese c’è qualcosa che non va … e allora «che fare?», come pure diceva Lenin? Bella domanda, voi continuate a leggere “InGIUSTIZIA”, ed in particolare gli editoriali del direttore Reboa, che qualcosa succederà.

 

Rodolfo Capozzi


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Francesco Maria Orsi Il 2008, fu un anno importante, per me e per Roma. La corsa al colle del Campidoglio vide la vittoria di Gianni Alemanno, uomo di destra, sul candidato del PD Francesco Rutelli.

Dopo un quindicennio di governi di sinistra, questi, conquistò la carica di Sindaco della Capitale. Ereditò dalle precedenti Giunte una città con grandi problematiche soprattutto di tipo finanziario, con un gravi debiti di bilancio, ma l’opinione pubblica, unanime, in coro confidò in lui affinché potesse riportare Roma ai fasti di città Capitale, quelli che le competono. L’anno 2008 per me avrà una valenza fondamentale, il suo ricordo rimarrà indelebile. E’ stato l’anno che segnò la mia entrata in politica come Consigliere Comunale al Comune di Roma.

Scendo in campo, affermai dopo esser stato eletto: “ per far rinascere Roma, farla vivere per come le compete ed aiutarla a risollevarsi.”

Ricordo ancor oggi, più di ogni altra cosa, una frase su tutte, che mi accompagnerà sempre, questa fu: “Se aiutiamo un Sogno, il Sogno ci aiuterà!”.

Il 2008, fu l’anno dello sbarco in Italia dell’iPhone 3G, primo cellulare touch screen, ma anche l’anno in cui, si passò dalla TV analogica alla TV digitale terrestre, operazione che segnerà una nuova era tecnologica per tutta la popolazione Nazionale.

La bolla speculativa verificatasi negli Stati Uniti che produsse e che ancor oggi, sta producendo, effetti nefasti in tutte le economie mondiali, Italia compresa. Mi ritornano in mente, pubblicate sul sito online del settimanale “Time”, le “Top Ten of Everything”, le dieci cose più importanti accadute durante quest’annata. L’autorevole classifica si apriva con la bancarotta di Lehman Brothers, che scatenò la violenta crisi finanziaria dei mercati economici mondiali, proseguì con la vittoria di Obama alle primarie americane, primo presidente di colore Afroamericano della storia d’America, continuò con gli attacchi terroristici a Mumbai e Islamabad, per arrivare ai pirati della Somalia, e concludere con l’inizio della guerra in Caucaso, e con la liberazione della Betancourt.

Il primo mese dell’anno si aprì con lo scandalo dei rifiuti di Napoli che concentrò l’interesse dei media e dell’opinione pubblica per diverse settimane e divenne uno dei temi centrali della futura campagna elettorale da parte del Cavaliere, Silvio Berlusconi.

Le elezioni si resero inevitabili dopo che il Guardasigilli, Clemente Mastella, decise di dimettersi e far uscire il suo partito “l’Udeur” dalla maggioranza del Governo Prodi per la “mancata solidarietà politica” rispetto alla vicenda che lo vide indagato per concussione e assieme sua moglie.

Iniziarono le consultazioni al Quirinale.

Ma fu già tempo di avviare la procedura di scioglimento delle camere e ci ritrovammo in piena campagna elettorale. Il Partito democratico (PD) tramite i suoi vertici confermò la volontà di correre da solo, sia alla Camera che al Senato. Mentre Forza Italia (FI) guidato magistralmente dal Cavaliere, inizialmente tentato ad accettare la sfida di Veltroni da solo, rompendo gli indugi (e le vecchie alleanze), annunciò la lista unica con An. Nacque così il Popolo delle Libertà (Pdl). La scelta di Fini e Berlusconi di allearsi con la Lega di Bossi, per la futura tornata elettorale, escludendo l’Udc di Casini, risultò vincente.

Dalla stretta di vite sui rom (schedatura dei campi nomadi) e dei clandestini nell’intento di soddisfare un desiderio sempre più crescente di sicurezza all’interno soprattutto dei grandi centri urbani metropolitani, alla “Robin Hood tax”, contro istituti bancari e petrolieri per evitare ulteriori speculazioni, visto anche il momento di crisi economica che investì il nostro paese.

Il Tevere fu veramente vicino alle soglie dell’esondazione, capannelli di gente assiepata lungo gli argini per scattare foto ricordo. In fondo in fondo, anche questo è parte della nostra storia, il ricordo di quel 2008, un anno per me fantastico, l’anno delle Olimpiadi di Pechino, mesi concitati, ricchi di eventi e di avvenimenti che hanno contribuito a cambiare in maniera notevole l’andamento culturale, socioeconomico e politico del nostro paese.

 

Francesco Maria Orsi


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Danila Tozzi Correva l’anno… Iniziavano così i racconti di una volta dove i protagonisti che rappresentavano sempre uno il Bene e l’altro il Male si fronteggiavano senza esclusioni di colpi per terminare con il solito scontato, seppur rassicurante, finale della vittoria del buono sul cattivo. Correva l’anno… 1992 e un pool di magistrati di Milano diede vita a “Tangentopoli”, una delle più vaste operazioni di “bonifica” da una corruzione in cui era precipitato il Paese per collusione tra partiti e imprenditori che portò alla decapitazione di una intera classe politica e la fine della cosiddetta Prima Repubblica. Furono eliminati per via giudiziaria i partiti legittimati a governare e resero legittimi i partiti non legittimati a farlo. (In quell’occasione furono indagati 3.200 persone, venne chiesto il rinvio a giudizio per 2.575 processati, e ottenuto 577 condanne di cui 153 con sentenza passata in giudicato). Esiste dunque un problema “giustizia”? La risposta è: sì. Correva l’anno… 2000 e si parlava di riformare la “giustizia” perché il suo carico di questioni irrisolte, da lunghi e svariati anni, pesava e pesa come un macigno sulla vita politica, economica e sociale dell’Italia. Perché se è vero che tra gli elementi costitutivi di un tessuto civico e di uno stare insieme in modo corretto ci sia la precisa amministrazione della giustizia allora il nostro Paese corre un serio pericolo, constatato che proprio il diritto è il punto fondamentale intorno a cui ruotano le scelte di chi governa e le reazioni di chi è governato.

Correva l’anno… 2002 e il passaggio epocale con la crisi del vecchio sistema dei partiti, ha riaperto forzatamente il dibattito sulle scelte politiche da effettuare nell’ambito di inevitabili riforme politiche, sociali ed economiche. E dove la voce giustizia appare sempre più importante. Perché una domanda sorge spontanea: cioè in che modo essa possa incidere nel rapporto tra le garanzie offerte dallo Stato e la possibilità di un maggior sviluppo degli individui e della intera comunità.

Tanto più che oggi la sempre più crescente espansione della conoscenza tecnologica e scientifica “costringe” a dare risposte all’opinione pubblica su tali temi anche dal punto di vista dei diritti, dei doveri e della loro tutela. Correva l’anno… 2007 e sulla giustizia è andato avanti il dibattito tra la confusione e l’incertezza generali anche e soprattutto per un inestricabile groviglio di norme e iter di applicazione che hanno generato quando non solo con-fusione di competenze una pericolosa sovrapposizione di cariche, incarichi allontanando così la possibilità di accertare eventuali responsabilità personali e indicare i motivi delle lungaggini dei processi e le alterazioni dell’intero sistema giudiziario. E proprio su questi temi si accendono infuocati dibattiti politici su cui si sta giocando anche il destino dell’attuale maggioranza in Parlamento.

Tutto ciò ha comportato la difficoltà del singolo cittadino a orientarsi in questo bailamme di proposte e situazioni senza riuscire appunto a formarsi una sua equilibrata opinione in cui poter attribuire, ai vari protagonisti in qualche misura coinvolti nella questione giustizia, colpe e responsabilità. D’altronde chiunque non può non notare come la durata media dei processi in Italia abbia tempi biblici e la possibilità di veder risolti contenziosi e storie a carattere anche penale in tempi relativamente brevi sia tuttora un’utopia. Certo si potrebbe obiettare che come tutti i sistemi non perfetti ma perfettibili ancora molto c’è da fare ma è imperdonabile che uno stratificarsi di circostanze e condizioni possano arrivare a danneggiare, in modo anche serio, il cittadino. Determinando oltretutto un maggior divario tra il potere giudiziario e la popolazione e una più diffusa sfiducia nel suo operato. A questo punto quindi si pone improcrastinabile una vera e “sana” riforma in cui siano compresi anche i diversi pareri e posizioni ma indispensabile per far riacquistare quel senso di sicurezza troppo spesso dimenticato nella pastoia di litigi e controversie. Bisogna aggiungere che va riconosciuto il ruolo determinante che riveste la magistratura, nella lotta al crimine, sia individuale sia organizzato, e in alcuni episodi di malcostume politico.

E’ vero che pur esistendo meritevoli azioni sopravvivono però troppi nodi ancora irrisolti e il sopraggiungere di nuovi potrebbero compromettere l’ossatura dell’intero sistema giurisdizionale finora formato. Correva l’anno…2010 e tutto è rimasto come prima…Perché si sa le favole sono roba per bambini e non sempre il male vince sul bene. La partita sul piano politico infatti è ancora aperta e il finale tutto da scrivere.

 

Danila Tozzi


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Luca Dell'Armi Nella memoria della stragrande maggioranza dei tifosi /appassionati di calcio della “campanilistica” Italia, l’anno 2006 rappresenta forse il gradino più alto dove la giustizia sportiva sia mai giunta dopo il precedente calcio scommesse degli anni 80.

Come era già accaduto nella triste precedente occasione, nota ai molti come lo scandalo dei Trinca e dei Cruciani , quando arresti di calciatori con tanto di polizia negli stadi avevano preceduto la resurrezione di Spagna 82 con conseguente bonifica dell’intero sistema calcio, anche nel dopo mondiale di Germania la storia si è per molti versi ripetuta . Se infatti prima del mondiale tedesco l’opinione pubblica italiana era compatta nel condannare l’esplosione di un fenomeno così esteso come Moggiopoli, subito dopo era pronta ad azzerare in un attimo due mesi di caccia alle streghe abbandonandosi a momenti di pura esaltazione sportiva. Prima si è gridato quindi allo scandalo per le intercettazioni di calciopoli per poi dimenticare tutto un secondo dopo il rigore di Grosso come se tutto questo fosse in qualche modo necessario per ridare linfa a un sistema in piena crisi di identità.

A differenza però del primo vero calcio scommesse, quello dell’ottantasei non lo prendiamo in considerazione perché di portata ben inferiore ai due capisaldi, quello che è stato poi ribattezzato Moggiopoli è passato alla storia delle cronache sportive come lo scandalo delle intercettazioni parziali, delle schede telefoniche straniere, degli arbitri rinchiusi negli spogliatoi e delle penalizzazioni ad squadram.

In quegli anni in cui Lucianone dettava i tempi della “contesa”, un po’ tutti pensavano che la Juventus avesse un qualcosa in più del vantaggio di avere in squadra campioni del calibro di Zidane e Inzaghi, ma una volta portata alla luce la macchina perfetta chiamata “cupola” gli sportivi di tutto lo stivale si sono alzati in piedi indignati chiedendo solo ed esclusivamente “giustizia”. Poco importa se poi in questo calderone infernale siano finite, insieme a satana Moggi e sorella Juve, tante piccole comprimarie a vantaggio delle uniche due compagini che si sono spartite il bottino, le cui intercettazioni telefoniche sono emerse anni dopo, quando i termini per le penalizzazioni erano ormai passati.

Ma quale giustizia è allora questa se fa emergere solo una parte della verità o è forse solo il frutto di una trama ordita da un grande “regista” ancora più cattivo? Certo una giustizia nella quale prima si danno in pasto al popolo le prove dell’accusa e poi si consente ai difensori di esaminarle è una giustizia che merita una condanna totale perché ha in se gli stessi segni della corruzione sulla quale si è fondato tutto il fenomeno calciopoli.

In questa lotta di potere che ha attraversato tutti i livelli del potere italiano sono caduti nell’ordine l’ex governatore della banca d’italia, i dirigenti delle forze dell’ordine e delle Coop rosse, Geronzi e Capitalia con le relative ramificazioni nelle quali Carraro era una struttura portante al centro di una contesa in cui la posta in palio era qualcosa in più della supremazia sportiva.

Tutto questo ci fa capire , se ancora ce ne fosse bisogno, che lo strapotere dei diritti tv e con esso anche della squadra di proprietà di uno dei suoi titolari ha finito con il modificare tutto il sistema calcio dando vita a nuovi gruppi di potere, che per fronteggiare i nuovi padroni del movimento mediatico calcistico sono pronti a tutto, anche ad indirizzare il corso di una giustizia sportiva sempre più virtuale e sempre più lontana dal diritto.

Nel primo calcio scommesse Giordano e Paolo Rossi furono squalificati per aver scommesso con profitto sul risultato sportivo ed aver dato vita a un vero e proprio mercato parallelo. Qualche anno fa l’attuale portiere della nazionale italiana non ha esitato a confessare candidamente alla stampa di aver perso nelle scommesse su internet cifre che si avvicinano all’ingaggio di un giocatore medio di serie b e non ricordiamo di aver assistito a nessuna pena esemplare a carico dell’estremo difensore azzurro. Tutto questo ci fa capire quanto il mondo del calcio sia cambiato in questi ultimi trenta anni trascinando in questo vortice anche la giustizia sportiva che non riesce più ad ergersi al di sopra delle parti per giudicare con obiettività tutti i fatti contestati e non solo la parte che più interessa a chi detiene il potere.

Riscriviamo quindi le regole della giustizia sportiva evitando di ricadere negli errori del passato e forse anche chi è parte integrante del sistema capirà che è giusto fare tutti un passo indietro per il bene di chi crede ancora nei valori dello sport prima che il giocattolo si rompa definitivamente.

 

Luca Dell'Armi


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