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Inchieste

Da avvocati ad imprenditori

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOTra i meriti a volte poco ricordati dei Promessi Sposi, troviamo quello di avere creato il nome con cui viene ancora oggi definita la governante di un parroco: la perpetua (non riesco a definirla badante e mi viene difficile usare il più moderno colf). Ma perpetua non è l'unico sostantivo creato da Manzoni; questi è riuscito ad inventare il termine che, in termini non certo positivi, viene attribuito alla nostra categoria. Chi infatti, tra noi, non è mai stato apostrofato come azzeccagarbugli? L'immagine del dottore che in toga nera, attorniato dai ritratti dei Cesari e spolverando vecchie grida, pontifica latinorum, resta ben radicato nell'immaginifico quotidiano. E non ha certo contribuito a dare una buona impressione degli avvocati, data anche la sua reazione quando viene informato che sarebbe dovuto andare contro il potente Don Rodrigo? Anche il cinema non si è certo sforzato per dare una rappresentazione migliore di noi legulei. L'avvocato di ufficio che in "Un un giorno in pretura" chiede soldi ad Alberto Sordi è uno degli stereotipi più ricorrenti ed a cui i nostri clienti fanno riferimento. Ovviamente insieme all'avvocato, gettonatissimo su internet, interpretato da Gigi Proietti che lascia da solo il cliente quando c'è da prenderlo e lo accompagna quando c'è da metterlo? Inutile ricordare le ricadute che ne abbiamo a livello di reputazione. Le raccolte di barzellette, molte americane, che ci paragonano a squali o a rapaci avvoltoi, pronti a spolpare gli altri (specialmente i nostri clienti) e a vivere delle disgrazie altrui, sono ormai veri e propri tomi enciclopedici. Con questa nomea, come possiamo ancora presentarci alla nostra clientela come seri e qualificati professionisti, chiedendo adeguate parcelle (non oso definirle congrue) per il nostro lavoro? In ogni caso se vinciamo ci verrà contestato che il caso era talmente chiaro al punto che non abbiamo fatto niente; viceversa, quando perdiamo, il minimo è quello di essere tacciati di incapacità. Un colpo decisivo ci è stato dato dai film e telefilm americani: l'avvocato di ufficio viene pagato dalla Stato. Inutile ricordare quanta fatica facciamo per spiegare che il sistema è, a dir poco, diverso e che l'avvocato di ufficio non è contemplato nelle cause civili. Ancora più inutile cercare di spiegare che la nostra difesa si sostanza in un'obbligazione di mezzi e non di risultato. Fatica sprecata. In ogni caso quello che resta delle immagini che popolano la fantasia comune, l'avvocato resta un topo da biblioteca, che studia codici e cavilli per poi uscire in aula con la sua "Obiezione vostro onore" e tira fuori addirittura un cilindro da un coniglio (l'inversione è volontaria). Non è del resto questo che i clienti vogliono? Noi sappiamo che non è così. Non stiamo rintanati nei nostri comodi uffici ad attendere che i malcapitati di turno cadano nelle nostre grinfie e siano pronti a pagare l'onorario richiesto in cambio del nostro prezioso apporto di consigli ed attività tecnica. La situazione la conosciamo bene, purtroppo. Sulla nostra pelle. L'aumento esponenziale del numero degli avvocati è coinciso con un momento di difficoltà economica nazionale e globale e ha portato tutti noi a rivedere pesantemente i confini della professione, costringendoci a reinventarci. In tutto ciò non siamo certo agevolati dal legislatore (e secondo molti saremmo addirittura una potentissima lobby). Sintesi? Che oggi per sopravvivere dobbiamo difenderci. Da chi? Beh, prima di tutto da noi stessi per la concorrenza che ci facciamo; poi dagli attacchi normativi, fiscali, obblighi di aggiornamento che comunque derivano dalle nuove leggi e modifiche di quelle vecchie. Aggiungiamo i crediti formativi, la mediazione obbligatoria, e dobbiamo affrontare la concorrenza dei grandi studi internazionali che, provenendo da sistemi diversi e senza i limiti che ci hanno bloccato per anni (da quanto possiamo farci pubblicità?) hanno una mentalità imprenditoriale che a noi non è propria. Ecco, meglio smetterla con i lamenti ed i luoghi comuni perché, forse, abbiamo individuato il punto. Noi stessi abbiamo sempre considerato l'avvocatura una professione. Una libera professione che discende, addirittura, da Cicerone. Ci siamo sempre quindi visti come eruditi retori e declamatori di giurisprudenza e dottrina (magari la nostra) ed è sempre mancato un diverso approccio che ci portasse nella giusta prospettiva di vederci come imprenditori. Perché questo in realtà siamo. Lo siamo sempre stati, ed oggi dobbiamo esserlo più che mai. Avremmo dovuto iniziare a pensarci quando il computer ha sostituito la macchina da scrivere? O forse prima, quando il fax iniziò a rendere più veloci le comunicazioni? Internet è una rivoluzione in continuo evolversi. Riusciamo ad immaginare Azzeccargbugli inviare una PEC? Le imprese si adeguavano perché i manager (già ci si era evoluti rispetto al concetto di dirigente o padrone), applicavano le nuove soluzioni, i nuovi mercati, individuavano strategie. La nostra categoria sembra invece si sia arrotolata su se stessa. Su quell'immagine aurea, stereotipa, tradizionale, che ci siamo portati dietro perlomeno proprio da Azzeccagarbugli. E ci siamo ritrovati a dover dibattere con una realtà profondamente diversa da quando abbiamo intrapreso questa strada con entusiasmo e, forse, un po' di voglia di cambiare il mondo. Sicuramente molti colleghi non si riconoscono nel tristo quadro; per fortuna molti si sono adeguati in tempo, usando strutture e metodi diversi e nuovi. Ripensare la professione? Perlomeno un approccio nuovo ci deve essere. Un cambiamento che comporta una aggiunta. Una nuova qualifica indispensabile. Non sulla targa dello studio o sul nostro biglietto da visita, ma nella nostra mente, dopo il nostro nome, ovviamente preceduto dal prefisso Avv. dobbiamo inserire una sigla, che oggi ci viene imposta. E dobbiamo adeguarci a questa nuova qualifica. Quale? Lascio libertà di scelta ed indico, tra le possibili altre, S.R.L., S.P.A. Ltd. o Inc. Perché questo noi oggi dobbiamo necessariamente essere. Anche se vogliamo restare da soli, in toga, nel nostro studio.

Gianni Dell'Aiuto

Avvocato del Foro di Roma


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Carcere: il caso del detenuto di Bollate

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOInGiustizia la Parola al Popolo, in merito alla singolare vicenda che ha visto coinvolto un detenuto del carcere di Bollate, al quale è stata recapitata una cartella esattoriale per il pagamento dell'IMU per una presunta "seconda casa" rivelatasi non altro che poi l'istituto penitenziario di via Cristina di Belgioioso, n. 120 in Bollate, ha chiesto un intervento chiarificatore a Giordano Donato, Garante dei Detenuti della regione Lombardia. Di seguito, riportiamo quanto comunicatoci dal Garante in merito alla vicenda di cui si è occupato personalmente: "Sostanzialmente, un detenuto recluso presso la casa di reclusione di Bollate si è rivolto al Garante in quanto il Comune in cui risiedeva prima della reclusione e in cui ha tutt'ora la comproprietà di due unità abitative gli aveva richiesto per entrambe le abitazioni (quindi anche quella dove precedentemente risiedeva) il pagamento dell'IMU 2013, considerandole ambedue seconde case. L'amministrazione comunale ritiene che non possano essere applicate le agevolazioni per l'abitazione principale in quanto non può trattarsi di dimora abituale, considerata la attuale residenza anagrafica nel carcere di Bollate. Di fatto è vero che l'art.13, secondo comma, del D.L. 201/2011 prevede che le agevolazioni per l'abitazione principale vengano riconosciute sull'unità abitativa a condizione che il soggetto passivo abbia in quell'unità abitativa la propria residenza anagrafica e vi dimori abitualmente, ma in questo caso specifico, il detenuto presso il Carcere di Bollate, è in una condizione diversa rispetto ai cittadini liberi, in quanto ristretto coattivamente presso un casa di reclusione e asserire che l'abitazione principale sia presso il carcere di Bollate e senz'altro fuorviante. A parere del Garante, la condizione di detenuto è assimilabile a quella di anziani e disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero ai quali i comuni possono estendere il trattamento previsto per l'abitazione principale così come disciplinato al decimo comma dell'art. 13 e chiarito dalla circolare n. 3/DF del 18/05/2013, emanata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, ad oggetto "Imposta municipale propria. (...) Chiarimenti", al punto 6.2. Il comune interessato non ha però ritenuto di estendere l'applicazione dell'art. 13 anche alla fattispecie del detenuto. L'ufficio del Garante ha quindi sottoposto la questione giuridica emersa al Ministero dell'Economia e delle Finanze, segnalando il fatto anomalo e chiedendo che venga data un'interpretazione estensiva dell'art. 13".


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Cassa Nazionale Forense: mela stregata?

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOCari amici e lettori, e soprattutto cari Colleghi, oramai dal mese di febbraio 2013 la tanto annunciata Riforma forense è partita e, se non ha già mietuto le prime vittime, purtroppo a lungo andare potrebbe farlo. Nell'ambio del tristemente noto programma di "rinnovamento", il punto che reputo essere uno dei peggiori, il più contrastante con la laicità e la libertà di pensiero e azione, nel rispetto della normativa deontologica, che caratterizza la professione di Avvocato e, per ciò stesso, a mio parere il più deprecabile è l'obbligatorietà dell'iscrizione alla Cassa nazionale Forense per tutti coloro che sono iscritti all'Albo degli Avvocati. E, se la matematica non inganna, facendo l'equazione che esercitare come Avvocato richiede la necessaria iscrizione all'Albo va da se che l'esercizio della professione di Avvocato comporta l'obbligo di iscrizione – di pagare – alla Cassa. Alla domanda "Chi ha l'obbligo di iscriversi alla Cassa?", la risposta da manuale è "I professionisti hanno l'obbligo di iscriversi alla Cassa Forense a partire dall'anno in cui producono un reddito con un volume d'affare maggiore o uguale al limite minimo stabilito per quell'anno dal Comitato dei Delegati per la prova dell'esercizio continuativo della professione". E se non si provvede ad adempiere questo obbligo ...del doman non v'è certezza. Ebbene, queste righe hanno dell'aberrante e dell'assurdo, almeno a parere di chi scrive: "obbligo" di iscrizione? Fin dal mio praticantato mi è sempre stata insegnata una cosa che non dimenticherò mai: la professione di Avvocato è una missione e l'Avvocato ha in sé l'appartenenza a se stesso, la libertà di pensiero e la non sottomissione ad ordini dati dall'alto. Questa, già solo con l'utilizzo di parole come quelle evidenziate, senza nemmeno pensare all'applicazione pratica delle stesse, è proprio la falce che distrugge la libertà e la dignità vera e profonda del professionista. La parola "obbligo" è in antitesi con l'arte dell'avvocatura e con uno Stato di diritto, quale era e deve continuare ad essere l'Italia, un Paese che oltre a tante ricchezze artistiche, storiche, naturali, imprenditoriali ha quella di una tradizione forense che non può e non deve essere piegata da chi appare come la bella regina della favola di Biancaneve, che offre una mela nuova ma stregata. Beh una cosa è sicura: a differenza della favola vera, per l'Avvocatura italiana il principe azzurro, per salvarla, è l'Avvocatura stessa, italiana e romana, con la sua tradizione di secoli. I nostri "genitori del diritto" ci hanno tramandato una frase che non è solo un motto ma è una strategia di pensiero e azione un antidoto contro la mela stregata, per svegliarsi dal torpore e reagire: Nihil difficle volenti!

Paola Tullio

Avvocato del foro di Roma

Addetto stampa di A.T.R.


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Europa: corsi e ricorsi

eeeuropLegge naturale o normale ricorso dei cicli temporali, ma come in natura per gli animali, anche per gli Stati, emerge sempre una realtà che, per capacità, circostanze, volontà, emerge sulle altre, dominando le scene politiche ed influenzando il sistema internazionale. Senza voler partire dalla Roma dei Cesari, possiamo limitarci agli ultimi secoli per vedere come la Francia di Richelieu ha introdotto il moderno processo di relazioni internazionali, basato sullo Stato-Nazione e motivato dall'interesse nazionale. Nel secolo successivo venne elaborato in Gran Bretagna il concetto di Balance of Power, che ha caratterizzato i successivi due secoli. Il diciannovesimo secolo sono stati caratterizzati dalla preponderanza delle diplomazie austriache e, laddove Metternich ricostruì il Concerto Europeo, e della Germania di Bismark, che lo smembrò. Il ventesimo secolo ha visto il ruolo fondamentale degli Stati Uniti, che hanno influenzato quasi tutte le vicende politiche mondiali, pur nelle contraddizioni che caratterizzano il sistema americano. Ma forse queste contraddizioni sono proprie di una nazione giovane, nata su una base culturale e razziale a dir poco eterogenea e, nella sua prima fase, non certo naturale o spontanea. Queste osservazioni, banali, ma illuminanti, sono di Henry Kissinger. Non certo l'ultimo arrivato in tema di politica. Si aggiunga che alla predominanza negli aspetti politici si è sempre affiancata una forte connotazione di sviluppo economico. Viene quindi da chiedersi quale possa essere il prossimo Stato leader delle vicende mondiali. Quale possa essere la potenza che dominerà, o quantomeno influenzerà il secolo in corso. Erroneamente è stata spesso indicata la Cina come paese faro, confondendo il ruolo economico con quello politico e di guida, anche carismatica, delle altre nazioni. Difficile anche solo ipotizzare che possa essere l'ONU nel suo complesso a guidare la politica mondiale. Un'organizzazione di cui si sente fin troppo la necessità di una vera riforma in quanto la sua struttura non pare essere più adeguata agli scenari attuali. A proposito, in tema di età l'ONU è di soli tre anni più vecchia della nostra Costituzione. Non siamo più in epoca in cui il mercantilismo dominava i mercati e in cui le politiche coloniali determinavano le scelte politiche. E siamo ben oltre la restaurazione e l'epoca che ha visto la nascita degli attuali stati non solo Europei. Oggi ci troviamo, volenti o meno, nell'epoca del globalismo e di un capitalismo forse in crisi, ma sempre in essere nelle sue diverse sfumature o accezioni. Siamo nel mondo di internet, in cui il popolo della rete, forse l'unico veramente trasversale, in cui veramente non esistono distinzioni (ed oltretutto spontaneo) ha eliminato ogni forma di barriera. Le mail ed i sistemi di messaggistica istantanea hanno sostituito i corrieri a cavallo che portavano dispacci, ed anche le vecchie lettere scritte a mano e affidate ai servizi postali nella speranza che giungessero a destinazione. Tutto ciò ha portato implicazioni economiche forse misconosciute o poco osservate, ma di sicuro rilievo, anche sociale. Pensiamo ai vecchi gettoni ed alle schede telefoniche, ormai neanche più oggetto di collezione. Gli stabilimenti che li producevano sono stati scavalcati e resi obsoleti in un decennio. Quella che è la tecnologia di oggi verrà sicuramente soppiantata in un sempre più vicino domani. Ed anche l'uomo, in una lettura prettamente economica, crudele ma reale, corre il rischio di essere obsoleto nel breve periodo. Assurdo? No. Basti pensare che fino agli anni 60 una brava dattilografa aveva un lavoro sicuro ed ancora nei primi anni 90 la prova di dattilografia era richiesta addirittura per l'accesso ad alcune organizzazioni internazionali. Il programmatore di un PC degli anni 80 ne ha fatta di strada. Le auto hanno sistemi basati sull'elettronica che hanno soppiantato la meccanica, ed il vecchio meccanico con le mani unte di olio di officina è sostituito da un esperto con una diversa capacità specifica. Gli esempi, anche ridicoli o assurdi, potrebbero moltiplicarsi. E non dilunghiamoci sui trasporti. Il mondo diventa sempre più piccolo, ed il romantico giro del mondo in 80 giorni di Phileas Fogg oggi si può compiere in molti meno. Un'osservazione banale, ma efficace, e forse addirittura riduttiva, è che il mondo va avanti. E sembra che il progresso non metta a disposizione biglietti di ritorno. Anche chi ha a cuore le tematiche ambientaliste e quelle di conservazione di ambiente e tradizioni, non fa erto a meno di internet. Sempre più ci allontaniamo dalla dimensione locale, ed opporsi a questa onda di nuovo sarebbe come cercare di arrestare uno tsunami (altro neologismo proveniente dal mondo globale; un secolo prima la notizia sarebbe giunta con almeno qualche settimana di ritardo. Siamo costretti, o comunque portati, a pensare in maniera globale, internazionale. Ad imparare almeno una lingua straniera, a stare in contatto con il mondo, a indossare prodotti realizzati in Asia; mangiamo cibi etnici, abbiamo in nazionale due attaccanti non proprio originari di Napoli, Roma o Milano senza che siano oriundi. E la politica non può fare eccezione. Purtroppo l'Italia è e resterà (ahimè), ancora a lungo il paese dei campanili; dei Guelfi e dei Ghibellini, Coppi e Bartali; Rivera e Mazzola. E ci accartocciamo sul nostro mondo in cui si esaspera il localismo senza renderci conto di come sia sempre più anacronistico. Le Città Stato hanno fatto la loro epoca, come il feudalesimo, l'epoca dei comuni, e le prime neonate nazioni moderne. Gli Stati Uniti sono oggi, probabilmente, il primo Stato in cui si sono realizzate condizioni che hanno portato alla nascita di una figura di stato complesso e variegato. Tentativi di realizzare altre unioni sono state fallimentari (URSS, Jugoslavia) per la mancanza di veri principi unificatori. La risposta oggi, anche su chi potrà essere la prossima nazione che dominerà la scena mondiale, una volta superati i particolarismi e l'arroccamento su posizioni destinate a scontrarsi con una realtà più potente, è una soltanto. L'Europa.

Gianni Dell'Aiuto*

Avvocato del Foro di Roma


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Avvocatura italiana e l'Europa

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOCari amici e lettori, quando si parla di Europa, più che mai in questo momento storico che attraversiamo, si pensa a facce politiche di riferimento che evocano concetti economici, problemi economici e corse che l'Italia deve fare per "stare al passo" con il resto degli altri paesi. Molti di noi dimenticano però che Europa non è solo questo e tra coloro che, a mio avviso, devo stare al passo, inevitabilmente, siamo anche noi Avvocati e la categoria professionale di riferimento, con annessi e connessi. Il 2 febbraio 2013 è entrata in vigore la Riforma forense, con tutte le polemiche e i pareri favorevoli o contrari che l'hanno accompagnata e continuano ad accompagnarla. Non è, in questa occasione, mia intenzione esporre un giudizio sulla necessità o meno, sulla positività o negatività di una Riforma di tal fatta, tanto più che in questo periodo, a ridosso dell'entrata in vigore della stessa, il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma ha organizzato una serie di convegni proprio per aiutare noi professionisti a capire il "manuale di istruzioni" di quella che è, volente o nolente, una grande novità che stravolge un vecchio sistema. Vorrei, invece, cogliere questa occasione proprio per puntare l'accento su un aspetto che, al di la delle posizioni e opinioni, è, a mio parere, un dato oggettivo: anche noi siamo oramai in "piena" Europa e questo significa anche per noi Avvocati dover "stare al passo". Con una Riforma forense che elimina un sistema degli anni '30? Con il dare spazio alla mediaconciliazione? Con le specializzazioni? Non sono qui a dire si o no e lascio a ciascuno di voi la risposta che più ritiene giusta. Dobbiamo fare i conti con questa nuova realtà territoriale -politica - istituzionale - economica, l'Europa. Infatti, l'elaborazione di una Costituzione Europea ha riacceso il dibattito sul nostro ruolo e, in un quadro di valori fondamentali, alla professione forense non può che essere riservata una posizione di rilievo atteso il suo ruolo di garanzia dei diritti dell'individuo. La Commissione della Concorrenza, occupandosi della tematica e partendo da una ricerca dell'Istituto Viennese di alti studi secondo cui più è elevato il livello di regolamentazione minore è l'efficienza e più ridotta è la diffusione della ricchezza, ritiene che un minor livello di normazione assicuri un più ampio mercato professionale in cui vi sia maggior concorrenza e si possano offrire nuovi servizi. Di contro il Parlamento Europeo ha ribadito che la professione di avvocato è garanzia del diritto fondamentale alla difesa e di applicazione del principio dello stato di diritto e che le regole sono necessarie, nel contesto di ciascuna professione, per assicurare l'imparzialità, la competenza, l'integrità e la responsabilità dei membri della professione. Il CCBE ha sostenuto che le regole destinate alle professioni legali, atteso l'interesse pubblico che perseguono, si sottraggono alla disciplina della concorrenza. Le professioni hanno regole diverse nei diversi Stati Membri, tuttavia sarebbe opportuno trovare un denominatore comune da cui partire per armonizzare le diverse regole. L'Europa non è soltanto, come lo sta forse diventando, una questione economica che, di fatto, consente ai paesi economicamente "forti" dell'asse di prendere il sopravvento sul nostro amato paese, come fosse un gioco a risico, ma, ritengo, che debba essere considerata una realtà oggettiva da trasformare in una occasione per la nostra categoria professionale italiana di migliorarsi e, magari, fare essa stessa da scuola agli latri colleghi d'oltralpe.

Paola Tullio

Avvocato del foro di Roma

Addetto stampa di A.T.R.


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